Kas'iyyan guardò di nuovo il soldato sulla porta. Era alto,il fisico secco ma atletico,con le labbra sottili,gli occhi spietati e freddi ed i capelli biondi molto corti.
-"Arrenditi ." disse il soldato piano,con voce metallica e crudele.
Il vecchio allora si fermò,si fermò per una manciata di lunghissimi interminabili secondi;dopo abbandonò le braccia lungo i fianchi e chinò il capo. Sconfitto.
Il soldato alla porta prima rimase immobile,ma poi lentamente rilassò i muscoli. E sorrise trionfante.
Vedere come ancora una volta il suo ordine fosse stato eseguito per paura,e la sconfitta fosse giunta dopo un attimo di terrore del suo nemico lo eccitò e lo rese euforico.Le sue labbra si incresparono in una posa diabolica e subito ripose la pistola d'ordinanza nella fondina,chiuse la porta alle spalle e si avvicinò al vecchio. Fece qualche passo nella sua direzione e si fermò a breve distanza da lui per scrutarlo meglio. Poteva sentirne il puzzo di latte acido,di grasso affumicato, di terra bagnata.
-"E così sei tu..dopo tanti anni ti abbiamo trovato. Il generale è fuori che aspetta impaziente con gli altri,ma prima volevo vederti personalmente,faccia a faccia.Ho sentito così tanto parlare di te che.."
La mano di Kas'iyyan fu così rapida da sembrare lenta.Il coltello che teneva sulla mano destra disegnò un arco perfetto che carezzò l'aria tiepida dell'ambiente ed esattamente a metà della sua corsa incontrò la gola del soldato e la squarciò con uno scatto.
Kas'iyyan non permise che il corpo cadesse,ed anzi lo sostenne tra le sue braccia,dolcemente. Ma non per la paura che il rumore del corpo cadente insospettisse gli "ospiti che aspettavano fuori",ma per accellerare il deflusso del sangue che dal cervello lungo le carotidi recise ruscellava rutilante sul pavimento. E facendolo fissò il morente negli occhi,guardando in viso la vita che scorreva via.
Adagiò il corpo sul tavolo,si diresse calmo verso la porta. Guardò l'icona un ultima volta,le scarpine di Vladilena posate accanto alla finestra e poi uscì. Aprì la porta,i soldati lo guardarono lordo di sangue e il generale che era con loro senza una parola gli sparò al petto. Gli altri soldati aprirono il fuoco crivelladolo di colpi per scaricare la tensione accumulata dall'attesa. Poi le armi fumanti tacquero,l'erba coperta di bossoli fu calpestata dai passi di coloro che caricarono sulla camionetta il corpo del vecchio e del soldato sgozzato dentro l'isba,e tutti si allontanarono. Il bosco poco vicino alzava il suo canto funebre,il sole calava pallido e lontano.
Così trapassò l'eroe di guerra pluridecorato Andrei Nikolaevich Kas'iyyan Taz'ghul,il cui nome originario,prima che quel ragazzino armeno fosse adottato a braccia aperte dalla Grande Madre Russia era Haig Kaciac Taz'ghul,"Colui dalla destra coraggiosa". Rapito a sette anni da briganti-cacciatori-contrabbandieri della sua regione,fu allevato per anni con una disciplina di ferro,strappato alla sua casa e ai suoi fratelli per farne un vero guerrigliero armeno. Iniziò a far da vedetta alle bande che si vendicavano sui convogli turchi per le attenzioni che Ankara aveva loro usato negli anni passati,si spostavano lungo il confine con la Russia,dove trovavano riparo dalle baionette dei Genç Türk. Poi un giorno durante un esercitazione sparò ad un cespuglio che si muoveva nel bosco e uccise uno dei suoi fratelli,il minore,finito chissà perchè anche lui in quella zona,forse per fame o per cercar fortuna lungo il confine. Se ne accorse solo a fine esercitazione,e fino alla fine dei suoi giorni quel ricordo lo accompagnò. Giunta la guerra si arruolò,amo teneramente una ragazza conosciuta in un ricovero in ospedale,ma al termine della convalescenza il rifiuto di lei di condividere l'amore di quello strano ragazzo dall'accento lontano lo gettò in un mutismo dal quale si riscosse soltanto dopo un anno. Il ragazzo era diventato un uomo,batteva la zona di confine alla quale era stato assegnato con una ferocia inusitata,si divertiva ad attirare gli abbandonati della Wehrmacht in trappole per poi annientarli come conigli. Il suo cuore si indurì e si faceva chiamare Hrant "Li-c'è-il-fuoco" nella sua lingua. Fu assegnato a Stalingrado ben prima della battaglia che sarebbe poi diventata la più cruda di tutto il fronte occidentale,li incontrò di nuovo la ragazza che aveva amato,ma lei si era innamorata del nemico,un tedesco dell'armata degli invasori,con quale ormai aveva già una figlia. I due amanti morirono,nessuno sa come,ma la sua rabbia non si placò. Fu congedato dall'esercito per "grave labilità emotiva", e nonostante la fine della guerra si mise alla ricerca del frutto dell'amore tra il nemico e la giovane volontaria,che tanti anni prima lui aveva amato. Li trovò quando lei stava per dare alla luce una bimba,sposata al figlio di un generale. Fece finta di interessarsi a loro,incontrò il padre di lui e promise assistenza ai due giovani durante le campagne militari in Asia che avrebbero tenuto il futuro nonno lontano. Ma non appena quest'ultimo partì ad addestrare truppe il quel paese di confine non perse tempo,produsse false accuse di tradimento contro la coppia e li fece internare nei campi di lavoro,dove si assicurò che morissero prima della fine dell'inverno. La ragazza aveva dato alla luce una bimba,che fu chiamata Vladilena. Kas'iyyan riuscì nell'ottenere l'affido spacciandosi come nonno della piccola e letteralmente scomparì, in un villaggio sperduto,vicino a un bosco sperduto della provincia di Komi.
Qualcosa cambiò in lui con quella bimba tra le mani,una creatura innocente ed indifesa.No,a lei non sarebbe capitato ciò che era successo a lui e a suo fratello. Kas'iyyan amava quella bimba,più di se stesso.
Li viveva con lei poco fuori dal villaggio fino a quando il generale Semën Konstantinovič Timošenko,di ritorno dalla Cina non vendicò suo figlio.
"Babuška Maša!". Vladilena svegliò la vecchia che sonnecchiava davanti al camino in quel pomeriggio freddo dopo il pranzo per il suo ventiduesimo compleanno. Il nonno Semen e gli zii avevano pensato a tutto facendole una splendida sorpresa,incluso un pranzo pantagruelico cui la vecchia non aveva saputo sottrarsi: nascere e crescere in un villaggio sperduto nel bosco ti lascia addosso una fame atavica,impossibile da eradicare,anche dopo anni di vita agiata nel raion più confortevole di Mosca-secondo le teorizzazioni del beneamato Nikolaj Miljutin-servita e riverita in quanto balia della nipote di un generale.
"Babuška Maša!,è arrivata una lettera per te!"
La vecchia aprì un occhio per volta,poi entrambi insieme,poi li richiuse e fece per dire qualcosa,ma un sonoro gorgoglio della sua stessa pancia la interruppe.
Il pollo.
Ma fu un attimo,la vecchia subito scattò seduta:-"Che vai blaterando figlia mia??Una lettera per me?Ma se non ricevo lettere da quando Piòtr partì in città per cercar fortuna?La lettera non la scrisse certo lui,che era tonto come una ruota,ma la padrona della bettola dove la sera diceva di sedersi a pensare a me!Se mi avesse pensato di più non avrebbe speso tutti quei rubli in voodka e...e non farmi dire cosa!Ho dovuto saldare tutti i suoi debiti,che San Michele lo perseguiti fino all'eternità!"
Ma la lettera c'era,con una grafia tremolante l'indirizzo era scritto in china blu,molto sbiadita,pareva esser stata sotto la pioggia per dei giorni,ma la carta aveva resistito e l'interno della busta era intatto. Era pesante,come se ci fossero monete dentro,ma quando Mariya Alexandreevna la aprì tintinnarono sul tavolo scintillando due vecchie medaglie militari con il simbolo di un nemico che fu.
" Mi è stato riferito dalla gente di un villaggio sul Komi che vi siete trasferita qui a Mosca. So che con voi rimane una bimba nipote di un grande generale. Affido a voi questa lettera per lei,che non ho potuto indirizzare all'interessata per non mettere in sconvenienza la signorina che si vede destinare attenzioni da parte di uno sconosciuto.Sono inoltre ricercato,lo dico per potervi regolare voi di conseguenza. Quanto a me, morirò ben prima che riceviate questa lettera.
Nostro Padre,tuo bisnonno non aveva che noi due. Me e Friedrich. Io ero il maggiore tra i due,ricordo ancora la mamma che morì nel dare alla luce Friedrich,e il lungo funerale che seguì,con parenti venuti da lontano,la zia nel suo scialle nero e i nostri cugini,segnati a lutto. Nostro padre,il conte Hohenzollern-Sigmaringen ci amava tanto,siete i miei occhi figli miei,non faceva che ripetere a tutti.
Fu lui ad insegnarci a sparare,fin da quando eravamo piccoli. Militai fin da subito con i miei coetanei entusiasti in quella che doveva essere l'alba di una nuova rinascita e proteggevo mio fratello così come a Nostro Padre avevo promesso. Presi i voti migliori per lui,e mio fratello-tuo nonno-mi sceglieva sempre come esempio.
Andai alla Braunschweig e vi trascorsi il mio anno.Fui uno dei primi,anche perchè ero tra i più anziani,a 31 anni ero già nei reparti d'assalto. Tuo nonno aveva quattro anni in meno di me,e in segreto dietro mio consiglio entrò nella Wehrmacht,non nelle SS.
Fui io quindi in un certo senso che lo mandai a morire a Stalingrado con von Paulus. Ma lui era contento di partire,la 6° armata era un corpo d'elite,e questo anche a Nostro Padre piaceva. Friedrich d'altronde era felice di andare in Russia,la sua idea era di riincontrare una ragazza che aveva conosciuto anni prima quando accompagnando il Fuhrer era stato ricoverato in un ospedale da campo per una caduta da cavallo. Si scrivevano ogni settimana e la sua idea era di tornare in Russia,anche con la guerra in atto,per incontrarla e a guerra vinta portarla in Germania come sposa.
Io ero già un veterano. Quando Nostro Padre malato seppe come si moriva a Stalingrado mi guardò ed io capii. Morì qualche giorno dopo ed io raggiunsi il fronte in treno,le giovani reclute dirette al fronte mi guardavano tanto con rispetto quanto io guardavo loro con disperazione, perchè non sapevano a cosa andavano incontro. Dovevo trovare Fredrich laggiù a Stalingrado e riportarlo indietro da quella follia. Quando lo trovai,era troppo tardi. Ma vidi bene in viso l'uomo che rideva di lui,schiacciato sotto le macerie,vidi per la prima volta la bellissima donna che amava,vidi la sua morte. Dovevo vendicarli ma riuscii soltanto a ferire quel serpente,poi un colpo di cannone fece franare il palazzo dove ero appostato. Quando rinvenni feci in tempo a salvare poche cose di mio fratello e poi fui catturato. Mi misi le sue medaglie in bocca e non parlai per mesi;a Stalingrado prigioniero vidi le nostre armate disfatte e umiliate,abbandonate dalla loro stessa nazione che li aveva spediti lontano in un rigurgito convulso di sorda barbarie mista a orrore. Da li in treno fino a Novaja Zemlja: la nuova terra.
Riuscii a fuggire solo dopo dieci anni,e tutti dicevano che fosse un miracolo che fossi riuscito a soppravvivere. La sete di vendetta per quell'uomo che ero solo riuscito a ferire mi diede un motivo per voler vivere la dove tanti erano i motivi per voler morire.
Ricordo il silenzio della tundra,il vento sulla slitta dei contrabbandieri che ero riuscito a corrompere, le zanzare e la fame nella taigà ed il terrore ai posti di controllo per passare da una città all'altra nascosto tra le carcasse di renna. Ho visto il rifiorire impetuoso della vita dopo la morte più definitiva che ci sia,il morire soli. Ho ascoltato i lamenti del bue muschiato quando vengono al mondo i piccoli e la foca che lecca il sangue dei suoi figli uccisi a bastonate.
Ho visto morire tuo padre,prima tuo nonno e prima ancora tuo bisnonno.
Non ti ho visto nascere ne forse mai ti vedrò,mi restano così pochi giorni da vivere e queste ultime forze voglio usarle per raccontarti la verità sulla tua vita. Ti ho trovata grazie ad un postino chiacchierone che racconta di una brutta storia,ubriaco in una taverna a parlare di un uomo che ho cercato per anni per vederlo morire. Quando in realtà avrei fatto meglio a cercare te per vederti vivere."
mercoledì 18 agosto 2010
lunedì 16 agosto 2010
"Kas'iyyan." La voce di Mariya Alexandreevna aveva un tono ammonitore. Gli occhi di lei, chiari come il ghiaccio e non meno gelidi, lo scrutavano con la medesima severità da un intrico di rughe profonde e fitte, come ragni al centro della tela. Lui odiava i ricordi, eppure non sapeva respingerli. L'acqua si freddava nel samovar, i pomeriggi diventavano crepuscoli, le notti facevano spazio all'alba: mentre il tempo fuori di lui correva avanti, dentro il suo animo si srotolava a ritroso, e il vecchio non era in grado di opporre resistenza alcuna.
La prima volta era successo poco dopo la fine della guerra. Ne era uscito vivo, anzitutto, ma anche pluridecorato, acclamato: davanti a lui si prospettava una brillante carriera in quella che era stata la Krasnaja Armija, tanto che qualcuno, tra il serio e il faceto, già lo chiamava polkovnek, colonnello. C'erano delle truppe da passare in rassegna, quel giorno: si preparava una parata per festeggiare la vittoria. Un ragazzetto nella prima fila reggeva come tutti il fucile a spall'arm, guardando marziale avanti a sè, rigido, tremando leggermente per rimanere immobile nel primo caldo di maggio nonostante avesse una mosca posata sulla rima dell'occhio.
Improvvisamente la luce si fece obliqua, radente; l'aria era più fresca, e odorosa di bosco fradicio. Kas'iyyan sentiva l'umidità farsi strada negli stivali: doveva esserci uno strappo nella suola. Il calcio di un fucile scostò un cespuglio di felci davanti a lui, levando in volo un nugolo di mosche e rivelando un ragazzino disteso a terra: da un foro sullo zigomo colava un rivolo sottile di sangue denso, un insetto ancora posato sull'occhio sinistro aperto, fisso nel vuoto. Il ragazzino che giaceva nel sottobosco umido era poco più vecchio di lui, e gli somigliava nella curva della fronte, nel profilo del naso, nello zigomo ferito e negli occhi vitrei, quasi come una goccia d'acqua. Aveva portato i suoi vestiti smessi, rubato la sua parte di coperte durante il sonno, lo aveva odiato per le attenzioni che riceveva e amato sconfinatamente per tutto il resto. Una mano grande e ruvida, mano da uomo di fatica, fece sentire il suo enorme peso sulla spalla sinistra di Kas'iyyan, arrivando a toccare con le dita il punto in cui poteva sentire il suo cuore battere con una calma innaturale. La mano del gigante parlò con voce profonda e atona, in una lingua che non sentiva da tanti anni: "Lo chiameremo un incidente e non ne parleremo mai più".
Si riebbe nell'astanteria, con il cuore che batteva come le ali di un uccello impazzito e il puzzo dell'ammoniaca nel naso. Lo avevano spostato di peso, così gli dissero, quasi da sotto i cingoli di un T-34, della cui avanzata non si era per nulla accorto. Lo visitarono tutti i medici migliori, stilarono una diagnosi che non gli mostrarono, mentre tutto quello che gli fu consegnato fu un plico di dimissioni ad effetto immediato. Da allora innanzi, per Kas'iyyan tornarono ad esserci solo il bosco e l'isba e i ricordi a portarlo via, ma tutto il suo passato gli era inviso e doloroso come percorrere a piedi nudi un sentiero di carboni ardenti.
"Kas'iyyan." Maryia Alexandreevna scosse leggermente la sedia, con impazienza "non sono venuta qui oggi per caso. Non sono qui per un tè coi blinis o per far prendere aria alla tua icona, che Iddio abbia pietà di te," lo incalzò "sono qui perchè è oggi che torneranno." "La bambina, Maša...." "Lei sarà con me, Kas'iyan, verrà per il tè dopo la scuola. Se sarà necessario, avrà un piatto per la cena, e Dio non voglia, un letto per dormire.".
Il vecchio guardava nel vuoto, confuso. Non sapeva cosa fare. Non riusciva a muoversi. Nelle sue orecchie un proiettile tintinnava ostinato contro una placca metallica sul muro. Lì dove si trovava, una pioggia di proiettili sibilava nell'aria e si conficcava ovunque, e l'aria risuonava di una babele di voci. Il sole, fuori, faceva il suo giro.
Si riscosse a fatica, accaldato, sudato e sorpreso che la sua sedia non fosse all'ombra. A passi incerti e traballanti raggiunse una mensola vicino al pech e ne trasse una bottiglia, mentre con la destra malferma cercava freneticamente la tazza. La urtò senza nemmeno vederla, e quella cadde a terra, andando in pezzi: il vecchio urlò un'imprecazione blasfema, stappò la bottiglia, ne bevve un lungo sorso e si segnò tre volte. Poi, cadde a sedere, incapace perfino di pensare.
La porta era aperta, e non ci fu bisogno di bussare. La bottiglia era rotolata a terra, vuota, accanto ai frammenti della tazza. Kas'iyan sedeva scompostamente su uno sgabello in penombra, aggrappato al tavolo con disperazione di naufrago, scarmigliato e scosso di tanto in tanto da un singhiozzo profondo.
L'ombra che stava ritagliata contro la luce del tramonto tra gli stipiti vuoti parlò con la voce fresca e arrogante di chi ha l'abitudine ad essere obbedito: "Vecchio, sei ubriaco. Troppo ubriaco. E troppo vecchio.".
Kas'iyan diede un respiro profondo. Tremava di indignazione, di rabbia, di umiliazione, ma si alzò in piedi, diede un calcio allo sgabello, raccolse i capelli, lunghi alla nuca, in un laccio di cuoio e guardò fisso l'ombra scura. "Questo lo vedremo," disse "questo lo vedremo.".
La prima volta era successo poco dopo la fine della guerra. Ne era uscito vivo, anzitutto, ma anche pluridecorato, acclamato: davanti a lui si prospettava una brillante carriera in quella che era stata la Krasnaja Armija, tanto che qualcuno, tra il serio e il faceto, già lo chiamava polkovnek, colonnello. C'erano delle truppe da passare in rassegna, quel giorno: si preparava una parata per festeggiare la vittoria. Un ragazzetto nella prima fila reggeva come tutti il fucile a spall'arm, guardando marziale avanti a sè, rigido, tremando leggermente per rimanere immobile nel primo caldo di maggio nonostante avesse una mosca posata sulla rima dell'occhio.
Improvvisamente la luce si fece obliqua, radente; l'aria era più fresca, e odorosa di bosco fradicio. Kas'iyyan sentiva l'umidità farsi strada negli stivali: doveva esserci uno strappo nella suola. Il calcio di un fucile scostò un cespuglio di felci davanti a lui, levando in volo un nugolo di mosche e rivelando un ragazzino disteso a terra: da un foro sullo zigomo colava un rivolo sottile di sangue denso, un insetto ancora posato sull'occhio sinistro aperto, fisso nel vuoto. Il ragazzino che giaceva nel sottobosco umido era poco più vecchio di lui, e gli somigliava nella curva della fronte, nel profilo del naso, nello zigomo ferito e negli occhi vitrei, quasi come una goccia d'acqua. Aveva portato i suoi vestiti smessi, rubato la sua parte di coperte durante il sonno, lo aveva odiato per le attenzioni che riceveva e amato sconfinatamente per tutto il resto. Una mano grande e ruvida, mano da uomo di fatica, fece sentire il suo enorme peso sulla spalla sinistra di Kas'iyyan, arrivando a toccare con le dita il punto in cui poteva sentire il suo cuore battere con una calma innaturale. La mano del gigante parlò con voce profonda e atona, in una lingua che non sentiva da tanti anni: "Lo chiameremo un incidente e non ne parleremo mai più".
Si riebbe nell'astanteria, con il cuore che batteva come le ali di un uccello impazzito e il puzzo dell'ammoniaca nel naso. Lo avevano spostato di peso, così gli dissero, quasi da sotto i cingoli di un T-34, della cui avanzata non si era per nulla accorto. Lo visitarono tutti i medici migliori, stilarono una diagnosi che non gli mostrarono, mentre tutto quello che gli fu consegnato fu un plico di dimissioni ad effetto immediato. Da allora innanzi, per Kas'iyyan tornarono ad esserci solo il bosco e l'isba e i ricordi a portarlo via, ma tutto il suo passato gli era inviso e doloroso come percorrere a piedi nudi un sentiero di carboni ardenti.
"Kas'iyyan." Maryia Alexandreevna scosse leggermente la sedia, con impazienza "non sono venuta qui oggi per caso. Non sono qui per un tè coi blinis o per far prendere aria alla tua icona, che Iddio abbia pietà di te," lo incalzò "sono qui perchè è oggi che torneranno." "La bambina, Maša...." "Lei sarà con me, Kas'iyan, verrà per il tè dopo la scuola. Se sarà necessario, avrà un piatto per la cena, e Dio non voglia, un letto per dormire.".
Il vecchio guardava nel vuoto, confuso. Non sapeva cosa fare. Non riusciva a muoversi. Nelle sue orecchie un proiettile tintinnava ostinato contro una placca metallica sul muro. Lì dove si trovava, una pioggia di proiettili sibilava nell'aria e si conficcava ovunque, e l'aria risuonava di una babele di voci. Il sole, fuori, faceva il suo giro.
Si riscosse a fatica, accaldato, sudato e sorpreso che la sua sedia non fosse all'ombra. A passi incerti e traballanti raggiunse una mensola vicino al pech e ne trasse una bottiglia, mentre con la destra malferma cercava freneticamente la tazza. La urtò senza nemmeno vederla, e quella cadde a terra, andando in pezzi: il vecchio urlò un'imprecazione blasfema, stappò la bottiglia, ne bevve un lungo sorso e si segnò tre volte. Poi, cadde a sedere, incapace perfino di pensare.
La porta era aperta, e non ci fu bisogno di bussare. La bottiglia era rotolata a terra, vuota, accanto ai frammenti della tazza. Kas'iyan sedeva scompostamente su uno sgabello in penombra, aggrappato al tavolo con disperazione di naufrago, scarmigliato e scosso di tanto in tanto da un singhiozzo profondo.
L'ombra che stava ritagliata contro la luce del tramonto tra gli stipiti vuoti parlò con la voce fresca e arrogante di chi ha l'abitudine ad essere obbedito: "Vecchio, sei ubriaco. Troppo ubriaco. E troppo vecchio.".
Kas'iyan diede un respiro profondo. Tremava di indignazione, di rabbia, di umiliazione, ma si alzò in piedi, diede un calcio allo sgabello, raccolse i capelli, lunghi alla nuca, in un laccio di cuoio e guardò fisso l'ombra scura. "Questo lo vedremo," disse "questo lo vedremo.".
sabato 19 giugno 2010
"-Torneranno. Sai anche tu che torneranno. E che qualcosa, per allora, dovrà essere fatto."
-"Maledetto,torneranno solo se tu li attirerai su di noi!!"
-"...non oserai farlo,sai benissimo che uccideranno anche te!"
-"Con te parlerò dopo Svetlana-aggiunse l'uomo con un ghigno infame che non lasciava prevedere nulla di buono."Ma è di un accordo con Friedrich di cui ora vorrei discutere,previa delucidazione su quali che saranno i termini di intesa,o se preferisci,non senza aver prima messo la posta in gioco sul tavolo.
"-Di che parli?Cosa vuoi da noi?"Da sotto il pilone in cemento che gli aveva frantumato le prime vertebre lombari Friedrich si sporse al di fuori,cercando con l'ultimo sforzo di trarsi fuori,ma inutilmente. Infondo alla fabbrica,i resti dell'esercito con cui era arrivato in quella lontana città giacevano distrutti,e dovunque si udivano le cannonate della 64°armata di Sumilov che abbattevano le ultime resistenze tedesche oltre il fiume e stanavano la guardia personale di von Paulus.
-"Vi porterò nelle retrovie,ti vestirò da uno di noi e chissà che qualche medico poi non riesca a sistemarti,che ne dici?" Nel mentre sorrideva beffardo.
-"Cosa vuoi in cambio?Sei un serpente!!
La risposta non fu data subito.Semplicemente l'uomo in piedi davanti alla coppia,col fucile sulla spalla e la calda divisa d'ordinanza spostò lentamente i suoi occhi sulla donna,ed inclinò il viso da un lato. Per tutta risposta Svetlana raccolse in mano un asse di legno appuntito e glielo puntò contro atterrita. Ma l'uomo rise,sapeva di trovarsi bene al sicuro in quella trincea di cemento armato e agli sbocchi c'erano solo i suoi compagni.
-"Svetlana-cominciò con fare dolciastro-se Friedrich fosse scoperto dai nostri gli sparerebbero sui gomiti e sulle ginocchia e starebbero li a vederlo morire bevendo voodka tutta la notte."Noi verremo acclamati come eroi e il partito ci garantirebbe una vita dignitosa per il resto dei nostri giorni.Anche vostra figlia Anastasiya potrebbe vivere con noi..con gli altri nostri figli.."E detto questo sghignazzò forte.
Friedrich lo maledì con tutte le sue forze e cercava di arrivare alla fondina della sua pistola,ma era troppo lontana. Svetlana indietreggiò,cadde contro la parete di cemento e rimase immobile.
L'uomo allora si portò sulla donna e iniziò a strapparle gli abiti di dosso,ridendo della resistenza di lei,debole e stanca da mesi di digiuno forzato per la guerra. Friedrich urlava la sua rabbia e lo malediva nella sua lingua e tutto questo non faceva che aumentare il divertimento del soldato. Svetlana con un ultimo sforzo riuscì a respingerlo e l'uomo stava per tornare su di lei quando improvvisamente si udirono rumori di molti passi e dall'alto della trincea comparvero cinque artiglieri,rampolli viziati dell'elite delle città sul Baltico,che quel visionario del generale Nikolaj Nikolajevič Voronov aveva trasformato in stolide macchine da guerra. Spararono subito un colpo al tedesco sotto il pilone e rimasero in piedi davanti al loro compatriota un poco stupiti. L'uomo allora con un rapido sguardo si accorse di essere il più alto ufficiale in grado rispetto ai nuovi venuti e riprese subito controllo di se e della situazione.
-"Traditrice!"urlò quindi."Tu tradisci la nostra Grande Madre Russia per aiutare il tedesco a salvarsi!Ora sarai giudicata dal tribunale del popolo!Voi conducetela via!
Prima che Svetlana potesse dire una parola uno di quei ragazzotti le diede un ceffone che la lasciò atterrita e muta,le legò i polsi e insieme al compagno iniziò a tirarla fuori dalla buca.
Il primo colpo non si capì subito,come se piovesse dall'alto,una goccia di pioggia,ma l'artigliere in piedi sulla trincea cadde a terra con un tonfo e la teca cranica aperta, che sprizzava sangue a nappo,scemando.Gli altri due artiglieri increduli si alzarono in piedi per capire da dove il colpo fosse venuto e in rapidissima successione furono colpiti entrambi al petto,da due colpi che schioccarono sorridenti nell'aria fredda.
Gli altri due,gente abituata a stare al riparo dietro i cannoni se la diedero a gambe urlando solo :"это чертовски немецкий снайпер!!!"Ma il primo inciampò e cadde su un ferro affilato che lo trafisse,l'altro fu raggiunto da un colpo alla pancia e rimase li implorando aiuto.
Rimasero l'uomo e la donna seduti sul fondo della trincea. Svetlana guardò quegli occhi duri,guardò sopra la trincea e sentì altri artiglieri accorrere,ed un blindato. Fu un attimo. Estrasse la pistola dalla fondina di uno dei morti e prima che l'uomo potesse fermarla si sparò un colpo alla tempia. L'altro immobile cercò di avvicinarsi,ma un proiettile sparato da chissà dove si piantò a pochi centimetri dalla sua gamba.
Era in trappola,nella trappola del cecchino.
Poteva solo aspettare che i suoi commilitoni arrivassero.
Non osava muoversi.
Un secondo proiettile si piantò nella parete di cemento davanti a lui mandando schegge ovunque.I colpi quindi arrivavano dalle sue spalle,ma questo significava una sola cosa:era salvo.Il cecchino infatti non si sarebbe potuto spostare perchè gli artiglieri arrivavano,lui era con le spalle coperte dalla parete cui era appoggiato e li al sicuro la trappola sarebbe saltata.
Un terzo proiettile colpì allora una placca d'acciaio addossata alla parete davanti,che respinse il colpo.L'uomo rise,ed urlò in tedesco: "du weißt gar nicht wo ich bin!",quello stupido cecchino non sapeva neppure dove sparare.
Poi un altro colpo,sempre sulla placca d'acciaio,poi un altro.
L'uomo rise fino all'ultimo vedendo i proiettili respinti infrangersi ostinatamente nella parete di cemento alla sua sinistra .Ma quando capì fu troppo tardi.Era un colpo impossibile,e dovette ringraziare che il blindato arrivò subito.Il sesto colpo sparato con una precisione impressionante rimbalzò sulla placca d'acciaio, e se l'u0mo non avesse ruotato leggermente il capo e se un colpo del cannone del blindato non avesse smosso leggermente la placca,il proiettile si sarebbe conficcato al centro della sua fronte. Chiunque fosse,quel tizio la fuori tutto solo e tutto il tempo, non aveva fatto altro che calcolare tranquillamente l'angolo di rimbalzo.E una volta che c'era riuscito-Dio solo sa come-aveva premuto il grilletto. L'unico problema era che dopo lo sparo la placca si era smossa di poco e il proiettile si era conficcato sul muro,lasciando all'uomo terrorizzato soltanto uno sfregio sanguinante, lungo e profondo,alla base del collo.
-"Maledetto,torneranno solo se tu li attirerai su di noi!!"
-"...non oserai farlo,sai benissimo che uccideranno anche te!"
-"Con te parlerò dopo Svetlana-aggiunse l'uomo con un ghigno infame che non lasciava prevedere nulla di buono."Ma è di un accordo con Friedrich di cui ora vorrei discutere,previa delucidazione su quali che saranno i termini di intesa,o se preferisci,non senza aver prima messo la posta in gioco sul tavolo.
"-Di che parli?Cosa vuoi da noi?"Da sotto il pilone in cemento che gli aveva frantumato le prime vertebre lombari Friedrich si sporse al di fuori,cercando con l'ultimo sforzo di trarsi fuori,ma inutilmente. Infondo alla fabbrica,i resti dell'esercito con cui era arrivato in quella lontana città giacevano distrutti,e dovunque si udivano le cannonate della 64°armata di Sumilov che abbattevano le ultime resistenze tedesche oltre il fiume e stanavano la guardia personale di von Paulus.
-"Vi porterò nelle retrovie,ti vestirò da uno di noi e chissà che qualche medico poi non riesca a sistemarti,che ne dici?" Nel mentre sorrideva beffardo.
-"Cosa vuoi in cambio?Sei un serpente!!
La risposta non fu data subito.Semplicemente l'uomo in piedi davanti alla coppia,col fucile sulla spalla e la calda divisa d'ordinanza spostò lentamente i suoi occhi sulla donna,ed inclinò il viso da un lato. Per tutta risposta Svetlana raccolse in mano un asse di legno appuntito e glielo puntò contro atterrita. Ma l'uomo rise,sapeva di trovarsi bene al sicuro in quella trincea di cemento armato e agli sbocchi c'erano solo i suoi compagni.
-"Svetlana-cominciò con fare dolciastro-se Friedrich fosse scoperto dai nostri gli sparerebbero sui gomiti e sulle ginocchia e starebbero li a vederlo morire bevendo voodka tutta la notte."Noi verremo acclamati come eroi e il partito ci garantirebbe una vita dignitosa per il resto dei nostri giorni.Anche vostra figlia Anastasiya potrebbe vivere con noi..con gli altri nostri figli.."E detto questo sghignazzò forte.
Friedrich lo maledì con tutte le sue forze e cercava di arrivare alla fondina della sua pistola,ma era troppo lontana. Svetlana indietreggiò,cadde contro la parete di cemento e rimase immobile.
L'uomo allora si portò sulla donna e iniziò a strapparle gli abiti di dosso,ridendo della resistenza di lei,debole e stanca da mesi di digiuno forzato per la guerra. Friedrich urlava la sua rabbia e lo malediva nella sua lingua e tutto questo non faceva che aumentare il divertimento del soldato. Svetlana con un ultimo sforzo riuscì a respingerlo e l'uomo stava per tornare su di lei quando improvvisamente si udirono rumori di molti passi e dall'alto della trincea comparvero cinque artiglieri,rampolli viziati dell'elite delle città sul Baltico,che quel visionario del generale Nikolaj Nikolajevič Voronov aveva trasformato in stolide macchine da guerra. Spararono subito un colpo al tedesco sotto il pilone e rimasero in piedi davanti al loro compatriota un poco stupiti. L'uomo allora con un rapido sguardo si accorse di essere il più alto ufficiale in grado rispetto ai nuovi venuti e riprese subito controllo di se e della situazione.
-"Traditrice!"urlò quindi."Tu tradisci la nostra Grande Madre Russia per aiutare il tedesco a salvarsi!Ora sarai giudicata dal tribunale del popolo!Voi conducetela via!
Prima che Svetlana potesse dire una parola uno di quei ragazzotti le diede un ceffone che la lasciò atterrita e muta,le legò i polsi e insieme al compagno iniziò a tirarla fuori dalla buca.
Il primo colpo non si capì subito,come se piovesse dall'alto,una goccia di pioggia,ma l'artigliere in piedi sulla trincea cadde a terra con un tonfo e la teca cranica aperta, che sprizzava sangue a nappo,scemando.Gli altri due artiglieri increduli si alzarono in piedi per capire da dove il colpo fosse venuto e in rapidissima successione furono colpiti entrambi al petto,da due colpi che schioccarono sorridenti nell'aria fredda.
Gli altri due,gente abituata a stare al riparo dietro i cannoni se la diedero a gambe urlando solo :"это чертовски немецкий снайпер!!!"Ma il primo inciampò e cadde su un ferro affilato che lo trafisse,l'altro fu raggiunto da un colpo alla pancia e rimase li implorando aiuto.
Rimasero l'uomo e la donna seduti sul fondo della trincea. Svetlana guardò quegli occhi duri,guardò sopra la trincea e sentì altri artiglieri accorrere,ed un blindato. Fu un attimo. Estrasse la pistola dalla fondina di uno dei morti e prima che l'uomo potesse fermarla si sparò un colpo alla tempia. L'altro immobile cercò di avvicinarsi,ma un proiettile sparato da chissà dove si piantò a pochi centimetri dalla sua gamba.
Era in trappola,nella trappola del cecchino.
Poteva solo aspettare che i suoi commilitoni arrivassero.
Non osava muoversi.
Un secondo proiettile si piantò nella parete di cemento davanti a lui mandando schegge ovunque.I colpi quindi arrivavano dalle sue spalle,ma questo significava una sola cosa:era salvo.Il cecchino infatti non si sarebbe potuto spostare perchè gli artiglieri arrivavano,lui era con le spalle coperte dalla parete cui era appoggiato e li al sicuro la trappola sarebbe saltata.
Un terzo proiettile colpì allora una placca d'acciaio addossata alla parete davanti,che respinse il colpo.L'uomo rise,ed urlò in tedesco: "du weißt gar nicht wo ich bin!",quello stupido cecchino non sapeva neppure dove sparare.
Poi un altro colpo,sempre sulla placca d'acciaio,poi un altro.
L'uomo rise fino all'ultimo vedendo i proiettili respinti infrangersi ostinatamente nella parete di cemento alla sua sinistra .Ma quando capì fu troppo tardi.Era un colpo impossibile,e dovette ringraziare che il blindato arrivò subito.Il sesto colpo sparato con una precisione impressionante rimbalzò sulla placca d'acciaio, e se l'u0mo non avesse ruotato leggermente il capo e se un colpo del cannone del blindato non avesse smosso leggermente la placca,il proiettile si sarebbe conficcato al centro della sua fronte. Chiunque fosse,quel tizio la fuori tutto solo e tutto il tempo, non aveva fatto altro che calcolare tranquillamente l'angolo di rimbalzo.E una volta che c'era riuscito-Dio solo sa come-aveva premuto il grilletto. L'unico problema era che dopo lo sparo la placca si era smossa di poco e il proiettile si era conficcato sul muro,lasciando all'uomo terrorizzato soltanto uno sfregio sanguinante, lungo e profondo,alla base del collo.
giovedì 17 giugno 2010
Il vecchio si irrigidì per il tempo di un respiro. Strinse il manico della vecchia pala da forno tanto che le nocche delle sue mani sbiancarono, e il legno emise un rumore lamentoso, sofferente.
"Non ho cicatrici, Lena. E' la luce del fuoco che fa qualche scherzo". "Sono sicura, nonno. Gavril ne ha una uguale, ma sulla gamba, perchè è caduto nel torrente mentre pescava. E' proprio una cicatrice." Vladilena cercava lo sguardo di suo nonno riflesso nel vetro scuro, ma incontrò solo due fessure ostili, fisse vacuamente nel calore rosso della bocca del pech, da cui Kas'iyyan estrasse la teglia in cui cuoceva la cacciagione con un movimento lento. Quando la poggiò sul ripiano esterno del forno, un suono metallico e molteplice tradì il tremito che il vecchio tentava di governare a forza di respiri fondi e vibranti, e chiuse la porta del vecchio forno con veemenza. Vladilena trasalì. "Siedi e mangia. In silenzio. Poi dirai le tue preghiere, e poi filerai a dormire. Non una parola." "Ma nonno..." "Ho parlato, Lena, e Dio non voglia che io parli due volte. Non c'è nessuna cicatrice. Se non riesci a mangiare in silenzio, significa che non hai abbastanza fame da riempirti la bocca."
Confusa e mortificata, pulì il piatto sotto lo sguardo del nonno, e si arrampicò sul polaty senza il coraggio di pigolare una buonanotte.
Quando sentì Vladilena cantilenare le preghiere a mezza voce da sotto le coperte, Kas'iyyan crollò il capo tra le mani, e due lacrime caddero sul piano del tavolo, simmetriche.
Amava quella bambina più di quanto potesse immaginare.
"Babuška Maša!" Vladilena uscì a corsa nel freddo pungente dell'alba, e si gettò tra scialli e gonne quasi ad occhi chiusi. "Benedetto Iddio, bambina, vuoi trascinarmi fino alla scuola con te? Vai spedita che la strada è lunga...ma devochka, hai gli occhi di chi ha pianto tutto il mare! Quando finisci le lezioni passa a trovare la vecchia Maryia, così le racconti tutto davanti ad un tè. Adesso vai, però." Seguì la bambina con lo sguardo finchè la vista provata dagli anni glielo permise, poi si voltò e senza tanti complimenti entrò nell'isba.
" Maryia Alexandreevna..." Maša intimò a Kas'iyyan il silenzio rivolgendogli un gesto secco a palmo aperto, e si diresse verso un angolo, in cui stava uno stipo dall'aspetto dimesso. Si mise ginocchioni e frugò nelle intercapedini del pavimento fino a trovare una piccola chiave di ferro, con cui aprì l'anta, rivelando un'icona polverosa. La baciò tre volte, la ripulì con la manica consunta e la ripose. Poi prese uno sgabello da sotto il tavolo, lo portò nell'angolo, e, accomodatasi al posto degli ospiti, parlò. "Non dico una candela, Kas'iyyan, ma nemmeno una tovaglia! La Santissima Vergine che se ne sta lì in mezzo alla polvere come un ferrovecchio, che Cristo ti perdoni..." "Sono brutti tempi, Maša. Non voglio mettere in pericolo la bambina. E' già tanto che conosca due preghiere da masticare la sera, accontentati." Maryia Alexandreevna rivolse uno sguardo indagatore al vecchio, sufficientemente eloquente però da far intendere che non sarebbe riuscito a dargliela a bere. Kas'iyyan cercò di articolare una risposta, qualcosa di chiaro e coerente, ma il meglio che gli riuscì fu di portarsi una mano dove il capo si giunge al collo, e abbassare lo sguardo. Mariya Alexandreevna gemette, e battè entrambe le mani sulle ginocchia, sollevando uno sbuffo di pulviscolo dalla sottana. "Dovevi aspettartelo prima o poi, Kas'iyyan... è una ragazzina sveglia, e sta diventando grande. Cosa intendi fare?" Le mani pesanti del vecchio cacciatore passarono sul suo viso, deformandone i tratti. Sembrava infinitamente vecchio, infinitamente sconfitto. "Non lo so, Maryia, non lo so..." "Torneranno. Sai anche tu che torneranno. E che qualcosa, per allora, dovrà essere fatto. Kas'iyyan, dimmi che ne sei consapevole." "Si, Maša. Qualcosa dovrà essere fatto. Torneranno."
"Non ho cicatrici, Lena. E' la luce del fuoco che fa qualche scherzo". "Sono sicura, nonno. Gavril ne ha una uguale, ma sulla gamba, perchè è caduto nel torrente mentre pescava. E' proprio una cicatrice." Vladilena cercava lo sguardo di suo nonno riflesso nel vetro scuro, ma incontrò solo due fessure ostili, fisse vacuamente nel calore rosso della bocca del pech, da cui Kas'iyyan estrasse la teglia in cui cuoceva la cacciagione con un movimento lento. Quando la poggiò sul ripiano esterno del forno, un suono metallico e molteplice tradì il tremito che il vecchio tentava di governare a forza di respiri fondi e vibranti, e chiuse la porta del vecchio forno con veemenza. Vladilena trasalì. "Siedi e mangia. In silenzio. Poi dirai le tue preghiere, e poi filerai a dormire. Non una parola." "Ma nonno..." "Ho parlato, Lena, e Dio non voglia che io parli due volte. Non c'è nessuna cicatrice. Se non riesci a mangiare in silenzio, significa che non hai abbastanza fame da riempirti la bocca."
Confusa e mortificata, pulì il piatto sotto lo sguardo del nonno, e si arrampicò sul polaty senza il coraggio di pigolare una buonanotte.
Quando sentì Vladilena cantilenare le preghiere a mezza voce da sotto le coperte, Kas'iyyan crollò il capo tra le mani, e due lacrime caddero sul piano del tavolo, simmetriche.
Amava quella bambina più di quanto potesse immaginare.
"Babuška Maša!" Vladilena uscì a corsa nel freddo pungente dell'alba, e si gettò tra scialli e gonne quasi ad occhi chiusi. "Benedetto Iddio, bambina, vuoi trascinarmi fino alla scuola con te? Vai spedita che la strada è lunga...ma devochka, hai gli occhi di chi ha pianto tutto il mare! Quando finisci le lezioni passa a trovare la vecchia Maryia, così le racconti tutto davanti ad un tè. Adesso vai, però." Seguì la bambina con lo sguardo finchè la vista provata dagli anni glielo permise, poi si voltò e senza tanti complimenti entrò nell'isba.
" Maryia Alexandreevna..." Maša intimò a Kas'iyyan il silenzio rivolgendogli un gesto secco a palmo aperto, e si diresse verso un angolo, in cui stava uno stipo dall'aspetto dimesso. Si mise ginocchioni e frugò nelle intercapedini del pavimento fino a trovare una piccola chiave di ferro, con cui aprì l'anta, rivelando un'icona polverosa. La baciò tre volte, la ripulì con la manica consunta e la ripose. Poi prese uno sgabello da sotto il tavolo, lo portò nell'angolo, e, accomodatasi al posto degli ospiti, parlò. "Non dico una candela, Kas'iyyan, ma nemmeno una tovaglia! La Santissima Vergine che se ne sta lì in mezzo alla polvere come un ferrovecchio, che Cristo ti perdoni..." "Sono brutti tempi, Maša. Non voglio mettere in pericolo la bambina. E' già tanto che conosca due preghiere da masticare la sera, accontentati." Maryia Alexandreevna rivolse uno sguardo indagatore al vecchio, sufficientemente eloquente però da far intendere che non sarebbe riuscito a dargliela a bere. Kas'iyyan cercò di articolare una risposta, qualcosa di chiaro e coerente, ma il meglio che gli riuscì fu di portarsi una mano dove il capo si giunge al collo, e abbassare lo sguardo. Mariya Alexandreevna gemette, e battè entrambe le mani sulle ginocchia, sollevando uno sbuffo di pulviscolo dalla sottana. "Dovevi aspettartelo prima o poi, Kas'iyyan... è una ragazzina sveglia, e sta diventando grande. Cosa intendi fare?" Le mani pesanti del vecchio cacciatore passarono sul suo viso, deformandone i tratti. Sembrava infinitamente vecchio, infinitamente sconfitto. "Non lo so, Maryia, non lo so..." "Torneranno. Sai anche tu che torneranno. E che qualcosa, per allora, dovrà essere fatto. Kas'iyyan, dimmi che ne sei consapevole." "Si, Maša. Qualcosa dovrà essere fatto. Torneranno."
mercoledì 16 giugno 2010
Anche se nei giorni passati il sole aveva tentato con tutte le sue forze di non cedere il cammino del cielo all'inverno affilato,persino gli alberi della foresta vicina avevano capito che a nulla più sarebbe valso il crudele tributo delle loro foglie dorate pagato al vento perchè ritardasse l'arrivo del freddo. E spogliati di ogni loro ricchezza immobili attendevano adesso le armate del Balshoy Kholodniy Obscheey,il Grande Generale Inverno.
Vladilena una volta nata era stata affidata dal medico del villaggio al nonno Kas'iyyan. Dei genitori non si era saputo più nulla.Solo quando Vladilena aveva tre mesi all'isba del nonno sperduta nel bosco era arrivato un plico che il postino-il panciuto signor Arseniy- aveva portato fin li tremando di freddo e di paura per i lupi.Nel plico c'era un vestitino da bimba tessuto a mano alla moda degli Urali e una foto dattilografata:"Michail e Anastasiya salutano la loro dolce figlia,gemma della nostra Madre Russia"Nella foto una coppia come tante si teneva per mano sullo sfondo di un lago. O così doveva sembrare.
Il postino teneva il plico in mano come fosse la refurtiva di una rapina all'obitorio mentre Kas'iyyan immobile come cubo di sale lo aspettava a gambe larghe. I due si erano guardati prima negli occhi,poi nelle mani e poi nei piedi.Poi entrambi avevano aperto la bocca,insieme,come a comando.
Arseniy per cercare di spiccicare una frasettina d'occasione,senza riuscirci.
Kas'iyyan per sputare il tabacco.
Al che, il postino aveva consegnato il plico al vecchio e con cenno del capo era tornato sui suoi passi. Dopo-senza neppure un mariavergine- era saltato sul carretto correndo lungo la strada che portava al villaggio come una palla di schioppo,questo è tutto,pareva dire.
Da quel giorno in poi però gli anni erano passati e al tempo della nostra storia Vladilena era già grandetta,andava per i nove,fuori come dicevamo faceva già tanto freddo e il nonno cucinava sul fuoco dei fagiani appena cacciati. La bimba guardava il nonno,con suo fisico asciutto,gli occhi vagamente a mandorla e i lunghi baffi bianchi;dicevano tutti che il vecchio veniva da lontano,per via degli occhi tagliati obliqui e di qualche frase buttata qui e li in una lingua sconosciuta. Eppure a guardarlo ora riflesso sul vetro della finestrella col buio tutt'attorno pareva semplicemente quel che era,un vecchio cacciatore russo,dall'aria truce ma dal cuore tenero al punto da preparare il fagiano per la sua nipotina. E borbottare che non c'erano più i fagiani di una volta.
Vladilena tuttavia quella sera osservò meglio vicino al fuoco il viso del nonno,e sul collo,vicino all'attaccatura del capo notò per la prima volta una lunga cicatrice chiara. Così chiese:Nonno quella cicatrice come te la sei fatta?...
Vladilena una volta nata era stata affidata dal medico del villaggio al nonno Kas'iyyan. Dei genitori non si era saputo più nulla.Solo quando Vladilena aveva tre mesi all'isba del nonno sperduta nel bosco era arrivato un plico che il postino-il panciuto signor Arseniy- aveva portato fin li tremando di freddo e di paura per i lupi.Nel plico c'era un vestitino da bimba tessuto a mano alla moda degli Urali e una foto dattilografata:"Michail e Anastasiya salutano la loro dolce figlia,gemma della nostra Madre Russia"Nella foto una coppia come tante si teneva per mano sullo sfondo di un lago. O così doveva sembrare.
Il postino teneva il plico in mano come fosse la refurtiva di una rapina all'obitorio mentre Kas'iyyan immobile come cubo di sale lo aspettava a gambe larghe. I due si erano guardati prima negli occhi,poi nelle mani e poi nei piedi.Poi entrambi avevano aperto la bocca,insieme,come a comando.
Arseniy per cercare di spiccicare una frasettina d'occasione,senza riuscirci.
Kas'iyyan per sputare il tabacco.
Al che, il postino aveva consegnato il plico al vecchio e con cenno del capo era tornato sui suoi passi. Dopo-senza neppure un mariavergine- era saltato sul carretto correndo lungo la strada che portava al villaggio come una palla di schioppo,questo è tutto,pareva dire.
Da quel giorno in poi però gli anni erano passati e al tempo della nostra storia Vladilena era già grandetta,andava per i nove,fuori come dicevamo faceva già tanto freddo e il nonno cucinava sul fuoco dei fagiani appena cacciati. La bimba guardava il nonno,con suo fisico asciutto,gli occhi vagamente a mandorla e i lunghi baffi bianchi;dicevano tutti che il vecchio veniva da lontano,per via degli occhi tagliati obliqui e di qualche frase buttata qui e li in una lingua sconosciuta. Eppure a guardarlo ora riflesso sul vetro della finestrella col buio tutt'attorno pareva semplicemente quel che era,un vecchio cacciatore russo,dall'aria truce ma dal cuore tenero al punto da preparare il fagiano per la sua nipotina. E borbottare che non c'erano più i fagiani di una volta.
Vladilena tuttavia quella sera osservò meglio vicino al fuoco il viso del nonno,e sul collo,vicino all'attaccatura del capo notò per la prima volta una lunga cicatrice chiara. Così chiese:Nonno quella cicatrice come te la sei fatta?...
lunedì 14 giugno 2010
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