Era da molto tempo che ospiti non si trattenevano nella tenuta Faberbleu, ed il nuovo arrivato dovette penare parecchio prima di ottenere dai padroni di casa e dalla servitù la rassicurazione che non si sarebbero mutate le abitudini quotidiane in forza del nuovo arrivato. Al "signor Vanzetti" piaceva esser trattato come un gradito ospite di passaggio, non amava esser considerato un ingombro da accudire compulsivamente. Anche perchè di ingombrante era già la sua posizione, nei confronti di due genitori, che in fin dei conti avevano perduto un figlio a causa sua. La tenuta per tutto il giorno fu un via vai di illustri notabili che elessero inconsapevolmente ma quasi di comune accordo un'identico comportamento, dissimile solo tra i due sessi, d'un garbo gli uomini ed d'altro le donne: dei primi -pingui cinquantenni imparruccati- certamente nessuno di essi si sarebbe realmente sognato di imbarcarsi su una nave per le terre d'oltremare a vendicare la morte del giovane risoluto, coraggioso e volitivo; eppure a passo lento e con fare contenuto e altero, parevano tradire una maestosa volontà di vendetta beffardamente frustrata dalla sorte. Non erano solo le loro stesse mogli a diffidare di questa pubblica condotta virile, e quanto a queste ultime, tutte allo stesso modo si percuotevano il petto gareggiando in disperazione e inscenando il collaudatissimo e compassato actus tragicus per manifestare la sincera vicinanza per la perdita del caro estinto. Per alcune -e neppur tra le più giovani, ci permettiamo di osservare- la perdita fu assai sentita, dato che il giovane era proprio un bel vedere; tuttavia mai pensieri sconvenienti adombrarono le candide ed immacolate coscienze, fresche quel sabato d'autunno dei lavacri Romani d'anima e corpo.
La porta si aperse di scatto e la sala in penombra fu illuminata a giorno dai finestroni dell'anticamera spalancati. Il conte sollevò lo sguardo e la servitù annunciò la presenza del "Signor Vanzetti" desideroso di aver con il conte un colloquio privato. In sommo spregio alla condotta che si sarebbe dovuta ritener propria l'italiano spinse da un lato il lacchè e con una risatina di imbarazzo varcò la soglia a passi larghi.
Il conte strabuzzò gli occhi e svenne subito dopo: ma non prima che il signor Vanzetti traesse dalla sacca di cuoio che portava con se una mano d'uomo perfettamente conservata, che recava nel dito mignolo l'anello di suo figlio. E una boccetta verde, colma d'un liquido scuro.
domenica 3 luglio 2011
giovedì 24 febbraio 2011
Il tumulto non cessò quando l'uomo si riebbe, anzi, se possibile si accrebbe ancor più.
Si dovette fronteggiare il mancamento della Contessa, seguito a breve da quello della Contessina, che furono portate a forza di braccia nelle proprie stanze, lontane dal feretro indrappellato e dal destino doloroso che portava.
La servitù fu licenziata con un gesto della mano, fiacco. Rimasero nella corte un uomo disfatto dalla stanchezza, cui misericordiosamente era stato offerto un bicchiere di liquore, ed un Conte stanco della vita, che in quel momento gli doveva sembrare troppo avara.
"Il Signor Conte mi perdonerà l'ardire di parlare per primo": fu interrotto. Quello che non poterono i tratti, sfigurati dalla lunghezza del viaggio, dal sole e dalla salsedine sull'Oceano e dalla polvere delle strade di Francia, persi in un intrico di cicatrici già bianche e antiche seppur nuove, poté la voce. "Baptiste" scandì lento il Conte "il mio ragazzo almeno..." e s'interruppe da sé, sfinito.
"Signor Conte, con il Loro Permesso..." "Almeno, ditemi, Baptiste, almeno è stato degno del nome che porta? E' con onore che è ...è..." Vinto dallo sforzo, crollò il capo e non trattenne i singhiozzi: gli riuscì di dominarsi il tanto necessario ad impedire alle ginocchia di cedere.
Quando Baptiste offrì il conforto della sua mano ruvida, però, i singulti cessarono d'un tratto.
Con uno sguardo indicibilmente tagliente, il Conte sibilò tra i denti "Contegno, servitù!". Si ritrasse. Baptiste aveva già visto quegli stessi occhi stretti, quello stesso tremito della mandibola contratta, la rigidità del corpo poco più di un anno prima, quando aveva assistito ad un commiato in quello stesso cortile, caricando i bagagli di un giovane cui non pareva vero poter finalmente lasciare il nido e vivere la propria avventura, che peccava solo di mostrare il proprio entusiasmo e la propria riconoscenza a quel padre che l'aveva permesso. Chissà, forse anche il proprio affetto. Ed era stato respinto con durezza, con brevi parole cavate tra denti stretti, e tutte riguardo l'onore e il buon nome della famiglia. Forse non immaginava che sarebbe stata l'ultima occasione. Quel ragazzetto avrebbe potuto essere suo figlio, e con quest'animo si era proposto di svolgere l'incarico di seguirlo e servirlo sulla via delle colonie d'America, sulla via di un destino che si era rivelato drammaticamente diverso da ogni sogno. Scrollò il capo per cacciare via i ricordi: appartenevano ad un passato così prossimo, eppure così terribilmente remoto, che la sproporzione gli dava alla testa.
"Un incidente, Illustrissimo. " Il Conte avvampò al punto tale che la cipria candida non riusciva a nascondere il colorito paonazzo del volto. "Incidente di che genere? Quanta onta?"
Venne dall'interno della carrozza un tramestìo di oggetti mossi. Baptiste, confuso, cercava parole che non vennero, e si ritirò di qualche passo, in imbarazzo, schiacciando il tricorno ormai logoro sul petto.
La porta della carrozza si aprì.
Due lacchè, dall'aria meglio in arnese del vecchio maggiordomo dei Conti Faberbleu, discesero trasportando un bauletto borchiato, che sembrava molto pesante. Furono seguiti da scarpini ottimamente calzati, che scostarono appena la tenda di velluto scuro che oscurava i vetri e proteggeva l'intimità del viaggiatore.
Alla finestra del piano superiore, Mademoiselle Francoise osservava, senza capir molto della scena, un ragazzo che qualche anno prima si sarebbe potuto dire poco più che ragazzino scendere con incedere solenne dal predellino. Impiegò qualche momento a comprendere che la sua speranza di veder comparire il fratello era vana, ma la curiosità la mantenne vigile e le impedì di cedere alla delusione e perdere ancora i sensi.
Il giovane si scappellò con un gesto ampio, e quando arrivò al fondo di un profondissimo inchino disse a voce alta, e chiara: "Illustrissima Eccellenza Signor il Conte". L'Illustrissimo contrasse il volto in una smorfia, e commentò a mezza voce con un "des italiennes!" che espresse efficacemente tutto il suo disappunto.
"Con la Loro licenza mi dichiaro responsabile dell'incidente d'artiglieria che ha Loro sottratto la luce della discendenza, e mi metto al Loro servizio, offrendo la mia persona o la mia vita come compensazione, per quanto miserrima, della Loro perdita". Tutto fu detto con lentezza grave, al fondo dell'inchino, e ne seguì un silenzio che durò molto a lungo. Il giovane inclinò appena la testa per occhieggiare l'eccellenza illustrissima a cui si era rivolto, ma la cima della scalinata era deserta. Si rialzò, ricomponendosi, e incontrò lo sguardo timido di una ragazza, coi capelli un po' scomposti, che si nascose dietro la tenda non appena si avvide d'essere guardata.
"Fate portare il bagaglio, Eccellenza" fece Baptiste, rassegnato "Non c'è molto altro da fare".
Il Maestro di Casa aveva alla fine trovato il Conte, che sedeva rigido su una savonarola, davanti ad un secretaire ingombro di carte. "Volete vedere vostro figlio, Eccellenza?"
Il Signor Conte lo guardò come se avesse parlato una lingua sconosciuta, e poi come se avesse detto la peggiore delle eresie, degna della tortura e poi del rogo.
"Un prete, Eleuthere. Un prete per le esequie." Il Maestro di Casa con un breve inchino uscì dalla stanza, e non appena la maniglia si risollevò, il vecchio conte strappò la parrucca dalla testa con un lamento, e la gettò al fuoco del camino. Poi crollò sullo scrittoio, e pianse.
Si dovette fronteggiare il mancamento della Contessa, seguito a breve da quello della Contessina, che furono portate a forza di braccia nelle proprie stanze, lontane dal feretro indrappellato e dal destino doloroso che portava.
La servitù fu licenziata con un gesto della mano, fiacco. Rimasero nella corte un uomo disfatto dalla stanchezza, cui misericordiosamente era stato offerto un bicchiere di liquore, ed un Conte stanco della vita, che in quel momento gli doveva sembrare troppo avara.
"Il Signor Conte mi perdonerà l'ardire di parlare per primo": fu interrotto. Quello che non poterono i tratti, sfigurati dalla lunghezza del viaggio, dal sole e dalla salsedine sull'Oceano e dalla polvere delle strade di Francia, persi in un intrico di cicatrici già bianche e antiche seppur nuove, poté la voce. "Baptiste" scandì lento il Conte "il mio ragazzo almeno..." e s'interruppe da sé, sfinito.
"Signor Conte, con il Loro Permesso..." "Almeno, ditemi, Baptiste, almeno è stato degno del nome che porta? E' con onore che è ...è..." Vinto dallo sforzo, crollò il capo e non trattenne i singhiozzi: gli riuscì di dominarsi il tanto necessario ad impedire alle ginocchia di cedere.
Quando Baptiste offrì il conforto della sua mano ruvida, però, i singulti cessarono d'un tratto.
Con uno sguardo indicibilmente tagliente, il Conte sibilò tra i denti "Contegno, servitù!". Si ritrasse. Baptiste aveva già visto quegli stessi occhi stretti, quello stesso tremito della mandibola contratta, la rigidità del corpo poco più di un anno prima, quando aveva assistito ad un commiato in quello stesso cortile, caricando i bagagli di un giovane cui non pareva vero poter finalmente lasciare il nido e vivere la propria avventura, che peccava solo di mostrare il proprio entusiasmo e la propria riconoscenza a quel padre che l'aveva permesso. Chissà, forse anche il proprio affetto. Ed era stato respinto con durezza, con brevi parole cavate tra denti stretti, e tutte riguardo l'onore e il buon nome della famiglia. Forse non immaginava che sarebbe stata l'ultima occasione. Quel ragazzetto avrebbe potuto essere suo figlio, e con quest'animo si era proposto di svolgere l'incarico di seguirlo e servirlo sulla via delle colonie d'America, sulla via di un destino che si era rivelato drammaticamente diverso da ogni sogno. Scrollò il capo per cacciare via i ricordi: appartenevano ad un passato così prossimo, eppure così terribilmente remoto, che la sproporzione gli dava alla testa.
"Un incidente, Illustrissimo. " Il Conte avvampò al punto tale che la cipria candida non riusciva a nascondere il colorito paonazzo del volto. "Incidente di che genere? Quanta onta?"
Venne dall'interno della carrozza un tramestìo di oggetti mossi. Baptiste, confuso, cercava parole che non vennero, e si ritirò di qualche passo, in imbarazzo, schiacciando il tricorno ormai logoro sul petto.
La porta della carrozza si aprì.
Due lacchè, dall'aria meglio in arnese del vecchio maggiordomo dei Conti Faberbleu, discesero trasportando un bauletto borchiato, che sembrava molto pesante. Furono seguiti da scarpini ottimamente calzati, che scostarono appena la tenda di velluto scuro che oscurava i vetri e proteggeva l'intimità del viaggiatore.
Alla finestra del piano superiore, Mademoiselle Francoise osservava, senza capir molto della scena, un ragazzo che qualche anno prima si sarebbe potuto dire poco più che ragazzino scendere con incedere solenne dal predellino. Impiegò qualche momento a comprendere che la sua speranza di veder comparire il fratello era vana, ma la curiosità la mantenne vigile e le impedì di cedere alla delusione e perdere ancora i sensi.
Il giovane si scappellò con un gesto ampio, e quando arrivò al fondo di un profondissimo inchino disse a voce alta, e chiara: "Illustrissima Eccellenza Signor il Conte". L'Illustrissimo contrasse il volto in una smorfia, e commentò a mezza voce con un "des italiennes!" che espresse efficacemente tutto il suo disappunto.
"Con la Loro licenza mi dichiaro responsabile dell'incidente d'artiglieria che ha Loro sottratto la luce della discendenza, e mi metto al Loro servizio, offrendo la mia persona o la mia vita come compensazione, per quanto miserrima, della Loro perdita". Tutto fu detto con lentezza grave, al fondo dell'inchino, e ne seguì un silenzio che durò molto a lungo. Il giovane inclinò appena la testa per occhieggiare l'eccellenza illustrissima a cui si era rivolto, ma la cima della scalinata era deserta. Si rialzò, ricomponendosi, e incontrò lo sguardo timido di una ragazza, coi capelli un po' scomposti, che si nascose dietro la tenda non appena si avvide d'essere guardata.
"Fate portare il bagaglio, Eccellenza" fece Baptiste, rassegnato "Non c'è molto altro da fare".
Il Maestro di Casa aveva alla fine trovato il Conte, che sedeva rigido su una savonarola, davanti ad un secretaire ingombro di carte. "Volete vedere vostro figlio, Eccellenza?"
Il Signor Conte lo guardò come se avesse parlato una lingua sconosciuta, e poi come se avesse detto la peggiore delle eresie, degna della tortura e poi del rogo.
"Un prete, Eleuthere. Un prete per le esequie." Il Maestro di Casa con un breve inchino uscì dalla stanza, e non appena la maniglia si risollevò, il vecchio conte strappò la parrucca dalla testa con un lamento, e la gettò al fuoco del camino. Poi crollò sullo scrittoio, e pianse.
domenica 9 gennaio 2011
Mademoiselle de Faberbleu non capiva proprio come mai quell'unico fratello che aveva la considerasse così poco. Lei sognatrice,amante degli scherzi e delle cacce al tesoro organizzate,della musica e della pittura -nella quale con impegno si cimentava ma senza gran risultati- non riusciva agli occhi del fratello a trovar un minimo d'attenzione,d'ascolto e delle volte di rispetto. I genitori avevano sempre preferito lui per il suo fare impulsivo, per il carattere forte e volitivo, mentre di lei -che era più a lungo rimasta in casa con i genitori- poco o nulla si curavano se non per questioni vacua di rilevanza sociale: Ah!cosa si sarebbe detto in giro -per tacere delle malelingue di corte- se Mademoiselle Françoise de Faberbleu fosse stata vista in fogge indegne del suo rinomato rango, se Mademoiselle Françoise de Faberbleu non sapesse toccare alla spinetta come le cortigiane della regina, cosa si sarebbe detto se..
La ragazza era di carattere allegro e sensibile, dava fiducia a tutti e di quel fratello gelido pareva esser l'unica a non subirne gli influssi. Quando il messo che da tempo si aspettava arrivò e dopo qualche giorno il fratello partì, lei pianse sinceramente e fu redarguita dai genitori perchè nel farlo si soffiò il naso forte assai sul fazzoletto ricamato della povera prozia dama di corte.
Passò circa un anno, e le notizie dal fratello arrivavano poche e sconnesse. La guerra nelle Americhe stava andando male per la Francia e i condottieri di ventura richiamati alle armi avevano degli obblighi ben precisi nei confronti della corona. Il vecchio conte e la contessa de Faberbleu attendevano ansiosi notizie dal fronte ogni giorno, fino a quando un mattino una carrozza si fermò davanti al cancello della tenuta. Dietro veniva un feretro nero, una bandiera listata a lutto ed un uomo solo. A piedi.
L'uomo guardò i conti immobili sulla scalinata, sorrise un poco e poi svenne sul patio.
mercoledì 5 gennaio 2011
Da molti giorni, oramai, cielo e terra parevano confusi. Non c'era più alto e basso, sopra e sotto. Una cappa di nuvole grigie e pesanti sembrava essersi accomodata tra le montagne e aver definitivamente rinunciato ad ogni desiderio di spostarsi altrove, o anche solo di far piovere. Il lago aveva smarrito le rive in una foschia densa e lattiginosa che andava a mischiarsi alle sfilacciature delle nubi più basse, e stendeva le sue acque metalliche come uno specchio cieco per un cielo immobile. La nebbia affievoliva ogni rumore, inghiottiva le distanze, confondeva le profondità. I merli tacevano, e si muovevano tra i rami con timidezza; un airone scrutava un orizzonte inesistente, immobile con una sola zampa immersa nelle acque fangose della riva, un pettirosso frullava le ali da un ramo all'altro di un salice, senza che il suo peso muovesse anche una sola foglia. "Diventerò matto" pensava stretto nel frac di gabardina bordeaux, infossando quanto più possibile il naso nella sciarpa di lana per difendersi dal primo freddo "ancora un giorno così e diventerò matto". In lontananza, o così almeno pareva, qualcuno tormentava orribilmente una spinetta, mentre fiocchi di cenere di legna, faville spente, venivano trasportate per l'aria ferma da qualche corrente troppo lieve per essere avvertita. Il pensiero davanti al lago morto, col suo coperchio di nubi fuligginose, sempre più affondato in una bruma densa come fumo di legno verde, era sempre il medesimo "...un giorno così ancora...", e i giorni erano passati, si era quasi fatto un mese, e contrariamente alle proprie previsioni, non era ancora diventato matto.
"Se passi un altro giorno fuori con questo tempaccio, ti prenderai una grippe, te lo dico io" La vocina flautata e sussiegosa era stata annunciata da uno scalpiccio di pantofoline e da un respiro affannato, che era però passato del tutto inosservato: infatti sussultò, infossando ancor più il viso nella sciarpa, come inconscia difesa. Se non era ancora matto, non avrebbe nemmeno preso la grippe. "Ti è piaciuto?" la frase fu sospesa, in attesa di un complimento che non arrivò "a me affatto no. Troppo difficile." Ecco chi torturava la spinetta. "e poi conosci maman, ha una vera fissazione di queste cose moderne. Tutto à la page. Come sto?" La cappa si abbassò scoprendo un'improbabile torre di riccioli, da cui promanava, nonostante chissà quale impiastro profumato, un vago sentore di strinato a denunciare un colpevole eccesso di zelo. " Sempre maman. E' a la mode, così pare."
Non sapeva proprio come togliersela d'impiccio.
"Credo che partirai." Il tono della voce cambiò repentinamente, ora era serio, con un accenno di tristezza. "Monsieur le pére ha arrangiato tutto. Credo che sia per domani." E, giusto all'ultima sillaba, due lacrimette lasciarono una traccia rosea nella cipria. "Strano, sorella, che con tutta quest'arte d'essere sentimentale e con l'educazione a la mode di maman, non vi sia ancora riuscito di accalappiare un buon marito che resista al vostro modo di suonare e alle vostre acconciature. Ma siete giovane, vi mancano ancora un paio d'anni buoni prima d'essere considerata zitella." Si girò sui tacchi e la lasciò lì, evidentemente stupefatta, al bordo del lago.
Era felice. Il giorno che l'avrebbe reso matto non sarebbe sorto.
Non sapeva proprio come togliersela d'impiccio.
"Credo che partirai." Il tono della voce cambiò repentinamente, ora era serio, con un accenno di tristezza. "Monsieur le pére ha arrangiato tutto. Credo che sia per domani." E, giusto all'ultima sillaba, due lacrimette lasciarono una traccia rosea nella cipria. "Strano, sorella, che con tutta quest'arte d'essere sentimentale e con l'educazione a la mode di maman, non vi sia ancora riuscito di accalappiare un buon marito che resista al vostro modo di suonare e alle vostre acconciature. Ma siete giovane, vi mancano ancora un paio d'anni buoni prima d'essere considerata zitella." Si girò sui tacchi e la lasciò lì, evidentemente stupefatta, al bordo del lago.
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