"-Torneranno. Sai anche tu che torneranno. E che qualcosa, per allora, dovrà essere fatto."
-"Maledetto,torneranno solo se tu li attirerai su di noi!!"
-"...non oserai farlo,sai benissimo che uccideranno anche te!"
-"Con te parlerò dopo Svetlana-aggiunse l'uomo con un ghigno infame che non lasciava prevedere nulla di buono."Ma è di un accordo con Friedrich di cui ora vorrei discutere,previa delucidazione su quali che saranno i termini di intesa,o se preferisci,non senza aver prima messo la posta in gioco sul tavolo.
"-Di che parli?Cosa vuoi da noi?"Da sotto il pilone in cemento che gli aveva frantumato le prime vertebre lombari Friedrich si sporse al di fuori,cercando con l'ultimo sforzo di trarsi fuori,ma inutilmente. Infondo alla fabbrica,i resti dell'esercito con cui era arrivato in quella lontana città giacevano distrutti,e dovunque si udivano le cannonate della 64°armata di Sumilov che abbattevano le ultime resistenze tedesche oltre il fiume e stanavano la guardia personale di von Paulus.
-"Vi porterò nelle retrovie,ti vestirò da uno di noi e chissà che qualche medico poi non riesca a sistemarti,che ne dici?" Nel mentre sorrideva beffardo.
-"Cosa vuoi in cambio?Sei un serpente!!
La risposta non fu data subito.Semplicemente l'uomo in piedi davanti alla coppia,col fucile sulla spalla e la calda divisa d'ordinanza spostò lentamente i suoi occhi sulla donna,ed inclinò il viso da un lato. Per tutta risposta Svetlana raccolse in mano un asse di legno appuntito e glielo puntò contro atterrita. Ma l'uomo rise,sapeva di trovarsi bene al sicuro in quella trincea di cemento armato e agli sbocchi c'erano solo i suoi compagni.
-"Svetlana-cominciò con fare dolciastro-se Friedrich fosse scoperto dai nostri gli sparerebbero sui gomiti e sulle ginocchia e starebbero li a vederlo morire bevendo voodka tutta la notte."Noi verremo acclamati come eroi e il partito ci garantirebbe una vita dignitosa per il resto dei nostri giorni.Anche vostra figlia Anastasiya potrebbe vivere con noi..con gli altri nostri figli.."E detto questo sghignazzò forte.
Friedrich lo maledì con tutte le sue forze e cercava di arrivare alla fondina della sua pistola,ma era troppo lontana. Svetlana indietreggiò,cadde contro la parete di cemento e rimase immobile.
L'uomo allora si portò sulla donna e iniziò a strapparle gli abiti di dosso,ridendo della resistenza di lei,debole e stanca da mesi di digiuno forzato per la guerra. Friedrich urlava la sua rabbia e lo malediva nella sua lingua e tutto questo non faceva che aumentare il divertimento del soldato. Svetlana con un ultimo sforzo riuscì a respingerlo e l'uomo stava per tornare su di lei quando improvvisamente si udirono rumori di molti passi e dall'alto della trincea comparvero cinque artiglieri,rampolli viziati dell'elite delle città sul Baltico,che quel visionario del generale Nikolaj Nikolajevič Voronov aveva trasformato in stolide macchine da guerra. Spararono subito un colpo al tedesco sotto il pilone e rimasero in piedi davanti al loro compatriota un poco stupiti. L'uomo allora con un rapido sguardo si accorse di essere il più alto ufficiale in grado rispetto ai nuovi venuti e riprese subito controllo di se e della situazione.
-"Traditrice!"urlò quindi."Tu tradisci la nostra Grande Madre Russia per aiutare il tedesco a salvarsi!Ora sarai giudicata dal tribunale del popolo!Voi conducetela via!
Prima che Svetlana potesse dire una parola uno di quei ragazzotti le diede un ceffone che la lasciò atterrita e muta,le legò i polsi e insieme al compagno iniziò a tirarla fuori dalla buca.
Il primo colpo non si capì subito,come se piovesse dall'alto,una goccia di pioggia,ma l'artigliere in piedi sulla trincea cadde a terra con un tonfo e la teca cranica aperta, che sprizzava sangue a nappo,scemando.Gli altri due artiglieri increduli si alzarono in piedi per capire da dove il colpo fosse venuto e in rapidissima successione furono colpiti entrambi al petto,da due colpi che schioccarono sorridenti nell'aria fredda.
Gli altri due,gente abituata a stare al riparo dietro i cannoni se la diedero a gambe urlando solo :"это чертовски немецкий снайпер!!!"Ma il primo inciampò e cadde su un ferro affilato che lo trafisse,l'altro fu raggiunto da un colpo alla pancia e rimase li implorando aiuto.
Rimasero l'uomo e la donna seduti sul fondo della trincea. Svetlana guardò quegli occhi duri,guardò sopra la trincea e sentì altri artiglieri accorrere,ed un blindato. Fu un attimo. Estrasse la pistola dalla fondina di uno dei morti e prima che l'uomo potesse fermarla si sparò un colpo alla tempia. L'altro immobile cercò di avvicinarsi,ma un proiettile sparato da chissà dove si piantò a pochi centimetri dalla sua gamba.
Era in trappola,nella trappola del cecchino.
Poteva solo aspettare che i suoi commilitoni arrivassero.
Non osava muoversi.
Un secondo proiettile si piantò nella parete di cemento davanti a lui mandando schegge ovunque.I colpi quindi arrivavano dalle sue spalle,ma questo significava una sola cosa:era salvo.Il cecchino infatti non si sarebbe potuto spostare perchè gli artiglieri arrivavano,lui era con le spalle coperte dalla parete cui era appoggiato e li al sicuro la trappola sarebbe saltata.
Un terzo proiettile colpì allora una placca d'acciaio addossata alla parete davanti,che respinse il colpo.L'uomo rise,ed urlò in tedesco: "du weißt gar nicht wo ich bin!",quello stupido cecchino non sapeva neppure dove sparare.
Poi un altro colpo,sempre sulla placca d'acciaio,poi un altro.
L'uomo rise fino all'ultimo vedendo i proiettili respinti infrangersi ostinatamente nella parete di cemento alla sua sinistra .Ma quando capì fu troppo tardi.Era un colpo impossibile,e dovette ringraziare che il blindato arrivò subito.Il sesto colpo sparato con una precisione impressionante rimbalzò sulla placca d'acciaio, e se l'u0mo non avesse ruotato leggermente il capo e se un colpo del cannone del blindato non avesse smosso leggermente la placca,il proiettile si sarebbe conficcato al centro della sua fronte. Chiunque fosse,quel tizio la fuori tutto solo e tutto il tempo, non aveva fatto altro che calcolare tranquillamente l'angolo di rimbalzo.E una volta che c'era riuscito-Dio solo sa come-aveva premuto il grilletto. L'unico problema era che dopo lo sparo la placca si era smossa di poco e il proiettile si era conficcato sul muro,lasciando all'uomo terrorizzato soltanto uno sfregio sanguinante, lungo e profondo,alla base del collo.
sabato 19 giugno 2010
giovedì 17 giugno 2010
Il vecchio si irrigidì per il tempo di un respiro. Strinse il manico della vecchia pala da forno tanto che le nocche delle sue mani sbiancarono, e il legno emise un rumore lamentoso, sofferente.
"Non ho cicatrici, Lena. E' la luce del fuoco che fa qualche scherzo". "Sono sicura, nonno. Gavril ne ha una uguale, ma sulla gamba, perchè è caduto nel torrente mentre pescava. E' proprio una cicatrice." Vladilena cercava lo sguardo di suo nonno riflesso nel vetro scuro, ma incontrò solo due fessure ostili, fisse vacuamente nel calore rosso della bocca del pech, da cui Kas'iyyan estrasse la teglia in cui cuoceva la cacciagione con un movimento lento. Quando la poggiò sul ripiano esterno del forno, un suono metallico e molteplice tradì il tremito che il vecchio tentava di governare a forza di respiri fondi e vibranti, e chiuse la porta del vecchio forno con veemenza. Vladilena trasalì. "Siedi e mangia. In silenzio. Poi dirai le tue preghiere, e poi filerai a dormire. Non una parola." "Ma nonno..." "Ho parlato, Lena, e Dio non voglia che io parli due volte. Non c'è nessuna cicatrice. Se non riesci a mangiare in silenzio, significa che non hai abbastanza fame da riempirti la bocca."
Confusa e mortificata, pulì il piatto sotto lo sguardo del nonno, e si arrampicò sul polaty senza il coraggio di pigolare una buonanotte.
Quando sentì Vladilena cantilenare le preghiere a mezza voce da sotto le coperte, Kas'iyyan crollò il capo tra le mani, e due lacrime caddero sul piano del tavolo, simmetriche.
Amava quella bambina più di quanto potesse immaginare.
"Babuška Maša!" Vladilena uscì a corsa nel freddo pungente dell'alba, e si gettò tra scialli e gonne quasi ad occhi chiusi. "Benedetto Iddio, bambina, vuoi trascinarmi fino alla scuola con te? Vai spedita che la strada è lunga...ma devochka, hai gli occhi di chi ha pianto tutto il mare! Quando finisci le lezioni passa a trovare la vecchia Maryia, così le racconti tutto davanti ad un tè. Adesso vai, però." Seguì la bambina con lo sguardo finchè la vista provata dagli anni glielo permise, poi si voltò e senza tanti complimenti entrò nell'isba.
" Maryia Alexandreevna..." Maša intimò a Kas'iyyan il silenzio rivolgendogli un gesto secco a palmo aperto, e si diresse verso un angolo, in cui stava uno stipo dall'aspetto dimesso. Si mise ginocchioni e frugò nelle intercapedini del pavimento fino a trovare una piccola chiave di ferro, con cui aprì l'anta, rivelando un'icona polverosa. La baciò tre volte, la ripulì con la manica consunta e la ripose. Poi prese uno sgabello da sotto il tavolo, lo portò nell'angolo, e, accomodatasi al posto degli ospiti, parlò. "Non dico una candela, Kas'iyyan, ma nemmeno una tovaglia! La Santissima Vergine che se ne sta lì in mezzo alla polvere come un ferrovecchio, che Cristo ti perdoni..." "Sono brutti tempi, Maša. Non voglio mettere in pericolo la bambina. E' già tanto che conosca due preghiere da masticare la sera, accontentati." Maryia Alexandreevna rivolse uno sguardo indagatore al vecchio, sufficientemente eloquente però da far intendere che non sarebbe riuscito a dargliela a bere. Kas'iyyan cercò di articolare una risposta, qualcosa di chiaro e coerente, ma il meglio che gli riuscì fu di portarsi una mano dove il capo si giunge al collo, e abbassare lo sguardo. Mariya Alexandreevna gemette, e battè entrambe le mani sulle ginocchia, sollevando uno sbuffo di pulviscolo dalla sottana. "Dovevi aspettartelo prima o poi, Kas'iyyan... è una ragazzina sveglia, e sta diventando grande. Cosa intendi fare?" Le mani pesanti del vecchio cacciatore passarono sul suo viso, deformandone i tratti. Sembrava infinitamente vecchio, infinitamente sconfitto. "Non lo so, Maryia, non lo so..." "Torneranno. Sai anche tu che torneranno. E che qualcosa, per allora, dovrà essere fatto. Kas'iyyan, dimmi che ne sei consapevole." "Si, Maša. Qualcosa dovrà essere fatto. Torneranno."
"Non ho cicatrici, Lena. E' la luce del fuoco che fa qualche scherzo". "Sono sicura, nonno. Gavril ne ha una uguale, ma sulla gamba, perchè è caduto nel torrente mentre pescava. E' proprio una cicatrice." Vladilena cercava lo sguardo di suo nonno riflesso nel vetro scuro, ma incontrò solo due fessure ostili, fisse vacuamente nel calore rosso della bocca del pech, da cui Kas'iyyan estrasse la teglia in cui cuoceva la cacciagione con un movimento lento. Quando la poggiò sul ripiano esterno del forno, un suono metallico e molteplice tradì il tremito che il vecchio tentava di governare a forza di respiri fondi e vibranti, e chiuse la porta del vecchio forno con veemenza. Vladilena trasalì. "Siedi e mangia. In silenzio. Poi dirai le tue preghiere, e poi filerai a dormire. Non una parola." "Ma nonno..." "Ho parlato, Lena, e Dio non voglia che io parli due volte. Non c'è nessuna cicatrice. Se non riesci a mangiare in silenzio, significa che non hai abbastanza fame da riempirti la bocca."
Confusa e mortificata, pulì il piatto sotto lo sguardo del nonno, e si arrampicò sul polaty senza il coraggio di pigolare una buonanotte.
Quando sentì Vladilena cantilenare le preghiere a mezza voce da sotto le coperte, Kas'iyyan crollò il capo tra le mani, e due lacrime caddero sul piano del tavolo, simmetriche.
Amava quella bambina più di quanto potesse immaginare.
"Babuška Maša!" Vladilena uscì a corsa nel freddo pungente dell'alba, e si gettò tra scialli e gonne quasi ad occhi chiusi. "Benedetto Iddio, bambina, vuoi trascinarmi fino alla scuola con te? Vai spedita che la strada è lunga...ma devochka, hai gli occhi di chi ha pianto tutto il mare! Quando finisci le lezioni passa a trovare la vecchia Maryia, così le racconti tutto davanti ad un tè. Adesso vai, però." Seguì la bambina con lo sguardo finchè la vista provata dagli anni glielo permise, poi si voltò e senza tanti complimenti entrò nell'isba.
" Maryia Alexandreevna..." Maša intimò a Kas'iyyan il silenzio rivolgendogli un gesto secco a palmo aperto, e si diresse verso un angolo, in cui stava uno stipo dall'aspetto dimesso. Si mise ginocchioni e frugò nelle intercapedini del pavimento fino a trovare una piccola chiave di ferro, con cui aprì l'anta, rivelando un'icona polverosa. La baciò tre volte, la ripulì con la manica consunta e la ripose. Poi prese uno sgabello da sotto il tavolo, lo portò nell'angolo, e, accomodatasi al posto degli ospiti, parlò. "Non dico una candela, Kas'iyyan, ma nemmeno una tovaglia! La Santissima Vergine che se ne sta lì in mezzo alla polvere come un ferrovecchio, che Cristo ti perdoni..." "Sono brutti tempi, Maša. Non voglio mettere in pericolo la bambina. E' già tanto che conosca due preghiere da masticare la sera, accontentati." Maryia Alexandreevna rivolse uno sguardo indagatore al vecchio, sufficientemente eloquente però da far intendere che non sarebbe riuscito a dargliela a bere. Kas'iyyan cercò di articolare una risposta, qualcosa di chiaro e coerente, ma il meglio che gli riuscì fu di portarsi una mano dove il capo si giunge al collo, e abbassare lo sguardo. Mariya Alexandreevna gemette, e battè entrambe le mani sulle ginocchia, sollevando uno sbuffo di pulviscolo dalla sottana. "Dovevi aspettartelo prima o poi, Kas'iyyan... è una ragazzina sveglia, e sta diventando grande. Cosa intendi fare?" Le mani pesanti del vecchio cacciatore passarono sul suo viso, deformandone i tratti. Sembrava infinitamente vecchio, infinitamente sconfitto. "Non lo so, Maryia, non lo so..." "Torneranno. Sai anche tu che torneranno. E che qualcosa, per allora, dovrà essere fatto. Kas'iyyan, dimmi che ne sei consapevole." "Si, Maša. Qualcosa dovrà essere fatto. Torneranno."
mercoledì 16 giugno 2010
Anche se nei giorni passati il sole aveva tentato con tutte le sue forze di non cedere il cammino del cielo all'inverno affilato,persino gli alberi della foresta vicina avevano capito che a nulla più sarebbe valso il crudele tributo delle loro foglie dorate pagato al vento perchè ritardasse l'arrivo del freddo. E spogliati di ogni loro ricchezza immobili attendevano adesso le armate del Balshoy Kholodniy Obscheey,il Grande Generale Inverno.
Vladilena una volta nata era stata affidata dal medico del villaggio al nonno Kas'iyyan. Dei genitori non si era saputo più nulla.Solo quando Vladilena aveva tre mesi all'isba del nonno sperduta nel bosco era arrivato un plico che il postino-il panciuto signor Arseniy- aveva portato fin li tremando di freddo e di paura per i lupi.Nel plico c'era un vestitino da bimba tessuto a mano alla moda degli Urali e una foto dattilografata:"Michail e Anastasiya salutano la loro dolce figlia,gemma della nostra Madre Russia"Nella foto una coppia come tante si teneva per mano sullo sfondo di un lago. O così doveva sembrare.
Il postino teneva il plico in mano come fosse la refurtiva di una rapina all'obitorio mentre Kas'iyyan immobile come cubo di sale lo aspettava a gambe larghe. I due si erano guardati prima negli occhi,poi nelle mani e poi nei piedi.Poi entrambi avevano aperto la bocca,insieme,come a comando.
Arseniy per cercare di spiccicare una frasettina d'occasione,senza riuscirci.
Kas'iyyan per sputare il tabacco.
Al che, il postino aveva consegnato il plico al vecchio e con cenno del capo era tornato sui suoi passi. Dopo-senza neppure un mariavergine- era saltato sul carretto correndo lungo la strada che portava al villaggio come una palla di schioppo,questo è tutto,pareva dire.
Da quel giorno in poi però gli anni erano passati e al tempo della nostra storia Vladilena era già grandetta,andava per i nove,fuori come dicevamo faceva già tanto freddo e il nonno cucinava sul fuoco dei fagiani appena cacciati. La bimba guardava il nonno,con suo fisico asciutto,gli occhi vagamente a mandorla e i lunghi baffi bianchi;dicevano tutti che il vecchio veniva da lontano,per via degli occhi tagliati obliqui e di qualche frase buttata qui e li in una lingua sconosciuta. Eppure a guardarlo ora riflesso sul vetro della finestrella col buio tutt'attorno pareva semplicemente quel che era,un vecchio cacciatore russo,dall'aria truce ma dal cuore tenero al punto da preparare il fagiano per la sua nipotina. E borbottare che non c'erano più i fagiani di una volta.
Vladilena tuttavia quella sera osservò meglio vicino al fuoco il viso del nonno,e sul collo,vicino all'attaccatura del capo notò per la prima volta una lunga cicatrice chiara. Così chiese:Nonno quella cicatrice come te la sei fatta?...
Vladilena una volta nata era stata affidata dal medico del villaggio al nonno Kas'iyyan. Dei genitori non si era saputo più nulla.Solo quando Vladilena aveva tre mesi all'isba del nonno sperduta nel bosco era arrivato un plico che il postino-il panciuto signor Arseniy- aveva portato fin li tremando di freddo e di paura per i lupi.Nel plico c'era un vestitino da bimba tessuto a mano alla moda degli Urali e una foto dattilografata:"Michail e Anastasiya salutano la loro dolce figlia,gemma della nostra Madre Russia"Nella foto una coppia come tante si teneva per mano sullo sfondo di un lago. O così doveva sembrare.
Il postino teneva il plico in mano come fosse la refurtiva di una rapina all'obitorio mentre Kas'iyyan immobile come cubo di sale lo aspettava a gambe larghe. I due si erano guardati prima negli occhi,poi nelle mani e poi nei piedi.Poi entrambi avevano aperto la bocca,insieme,come a comando.
Arseniy per cercare di spiccicare una frasettina d'occasione,senza riuscirci.
Kas'iyyan per sputare il tabacco.
Al che, il postino aveva consegnato il plico al vecchio e con cenno del capo era tornato sui suoi passi. Dopo-senza neppure un mariavergine- era saltato sul carretto correndo lungo la strada che portava al villaggio come una palla di schioppo,questo è tutto,pareva dire.
Da quel giorno in poi però gli anni erano passati e al tempo della nostra storia Vladilena era già grandetta,andava per i nove,fuori come dicevamo faceva già tanto freddo e il nonno cucinava sul fuoco dei fagiani appena cacciati. La bimba guardava il nonno,con suo fisico asciutto,gli occhi vagamente a mandorla e i lunghi baffi bianchi;dicevano tutti che il vecchio veniva da lontano,per via degli occhi tagliati obliqui e di qualche frase buttata qui e li in una lingua sconosciuta. Eppure a guardarlo ora riflesso sul vetro della finestrella col buio tutt'attorno pareva semplicemente quel che era,un vecchio cacciatore russo,dall'aria truce ma dal cuore tenero al punto da preparare il fagiano per la sua nipotina. E borbottare che non c'erano più i fagiani di una volta.
Vladilena tuttavia quella sera osservò meglio vicino al fuoco il viso del nonno,e sul collo,vicino all'attaccatura del capo notò per la prima volta una lunga cicatrice chiara. Così chiese:Nonno quella cicatrice come te la sei fatta?...
lunedì 14 giugno 2010
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