domenica 24 febbraio 2013

La città era immersa nel buio. La notte era calata d'improvviso come se sentisse la fretta di ricoprire d'ombra i vicoli e le piazze, riconsegnando al vero signore della città i luoghi che gli erano sempre appartenuti: il Mistero riprendeva dunque il suo dominio sulle strade silenziose a quell'ora, li dove al mattino sbraitavano i mercanti di ogni provincia montuosa, dove girovagavano soldati stanchi, madri accompagnate dai figli, contadini giunti dall'altra sponda del mare sulle barche, e la più varia umanità tutta riversatasi nella capitale più importante del mondo conosciuto.  La notte però si era fatta più cauta nel raggiungere l'alto muro del palazzo, bianchissimo, come se la marea di ombre per l'antico principio metafisico del male che teme il bene, avesse paura di lambire i confini   del tempio del sapere e della cultura, la residenza del Califfo .
Il muro circondava con un cerchio perfetto le cinque cuspidi d'oro e di lapislazzuli che sormontavano altrettanti enormi torrioni,dove si diceva fosse custodito il potere antico della città,sepolto da tempo immemore molti anni prima della sua fondazione poco lontano da dove sorgeva i l palazzo,molti anni prima del sommo profeta e del profeta galileo crocefisso,prima della venuta dei discendenti dei re dei franchi cui venne donato Abul Abbas il terribile,prima di Aristotele e delle grandi guerre combattute al dilà del mare, quando i Grandi Re della terra dimoravano in quei luoghi senza che anima viva ignorasse chi fossero, per quante leghe potesse percorrer un uomo a dorso di camello per due vite intere. Dar-al Salam, la Città Circolare era giovane, ma possedeva una storia antica.

Ma il Mistero non aveva padroni.

I servi corsero lungo le vie della città illuminata alla luce delle lampade con quanta più fretta avessero mai avuto. Se il profeta li avesse visti così zelanti li avrebbe segnalati all'occhio caritatevole dell'Altissimo; ma se li avesse visti il Califfo, avrebbe semplicemente detto che non correvano abbastanza. Lo scalpiccio risuonò nel sontuoso pavimento di marmo prospiciente al portale scolpito nel legno con figure di gazzelle e di leoni, di guerrieri che cacciavano orde di barbari sanguinari, immagini di città lontane e di cieli stellati, che per ogni riquadro che componeva l'immensa porta lignea cambiavano, mostrando costellazioni che nessuno aveva mai visto prima. 
Ma che di sicuro, il signore di quella casa aveva visto coi suoi occhi, aveva udito spiegare e cantare, aveva studiato e ammirato calcolandone i lunghi e musicali viaggi che gli astri compivano per andare a riposare poi  nella gloria di Al-Muhaymîn lode sia al suo nome.
I servi-cinque in tutto-bussarono alle porte della casa che a quell'ora di notte pareva immersa nel silenzio e nel sonno; ma era solo un apparenza: Abū Yūsuf Yaʿqūb ibn Isḥāq al-Kindī a quell'ora si levava. Immerso nei suoi calcoli e nei suoi assurdi ed incomprensibili disegni, era solito ritirarsi in una stanza solitaria che si era fatto costruire appositamente in aggiunta alla casa che aveva ereditato da parte di sua madre. Lassù nel silenzio di una città dormiente il filosofo studiava assiduamente pergamene antiche e altre che in futuro saranno scritte, chino sui testi e sui suoi esperimenti come un pollo sul becchime-diceva la sua nutrice. Se dal padre aveva ereditato i morbidi capelli chiari, il resto del suo aspetto non era di sicuro di quella bellezza tanto decantata dai poeti. 
Tarchiato- e questo perchè cibandosi di cibi lontani a scopo di esperimento si diceva che la curiosità avesse ceduto il passo alla golosia-radi capelli sulla testa e la barba sempre incolta, intorno alla luce della terza stella sollevò lo sguardo e trasse le sue mani paffute dal calamo perchè i servi del Califfo Abū Jaʿfar ʿAbd Allāh al-Maʾmūn dovevano condurlo al palazzo.
Poche parole dette in silenzio e al-Kindi fu costretto a gettarsi sulle spalle un manto spesso di lana e raggiungere in silenzio il suo Califfo e benefattore. Figlio del Magnifico Rashid,al Ma'mun accolse lo studioso in piedi,in una stanza privata che anni prima il padre aveva ricavato deviando un ansa del fiume Dijila e lasciando che la pietra ne fosse levigata al naturale prima di consentire agli operai di approntare le necessarie modifiche. La stanza si trovava assai prima dell'ingresso principale al meraviglioso palazzo che si diceva avesse stanze intere ricoperte interamente di  gioielli, e questo stupì assai al Kindi:era segno che il califfo aveva premura di incontrarlo a quell'ora nel cuore della notte. 
Senza dire una parola il califfo lo guardò fisso negli occhi,si alzo dallo scranno intarsiato in cui era assiso e gli consegnò personalmente uno straccio lercio in tela, che odorava di sudore e sporcizia,ma che a giudicare dal fatto che il califfo in persona lo tenesse tra le mani doveva esser di sicuro qualcosa di prezioso. Al Kindi lo prese tra le mani cercando di capire se mai vi fosse involto un qualche oggetto,ma lo straccio una volta portato alla luce di una candela si rivelò esser in realtà il supporto in cui era scritto un messaggio, incomprensibile.

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Questo in lettere della vicina civiltà di occidente era scritto con un pigmento rosso sulla tela sgualcita, e senza che fossero necessarie spiegazioni al Kindi era li per un motivo: capire cosa mai quella serie di lettere volesse dire. La stanza si fece di improvviso piena di personaggi dal volto coperto, che in realtà erano presenti fin dall'inizio, solo che al Kindi non se ne  era minimamente accorto. Gli uomini lo fissavano dallo spiraglio degli occhi e lo studioso capì, che quelle guardie del corpo del Califfo non lo avrebbero lascito uscire di li senza che si potesse giungere ad una risposta.
- Ecco che tutti quei libri sui simboli che hai letto ti sono serviti a qualcosa! disse il Califfo rompendo il silenzio assordante. 
-Vedi di fare presto,non abbiamo molto tempo.
Al kindi,maledisse la sua fama,se avesse potuto si sarebbe strappato tutti i peli della barba, lui, che aveva riscoperto l'antica arte di ricoprire d'oro i metalli usando solo il succo di limone era ora bloccato nel cuore della notte e il Califfo aspettava una risposta entro il mattino. Al Ma'mun uscì dalla stanza e al Kindi neppure se ne accorse,concentrato come si trovava. Le guardie uscirono tutte tranne tre, enormi e scure nelle loro armature dorate. Il filosofo iniziò a guardarle con attenzione e con orrore si accorse che quegli uomini avevano paura:le guardie erano li per proteggerlo da qualcosa,non per fare placidamente il loro turno di guardia. Si concentrò sulla scritta. Gli bastarono pochi minuti per mettere insieme le più elementari nozioni che aveva appreso per decifrare la frase. Ma il significato si fece oscuro. Due ore prima dell'alba mandò un uomo a prender da casa sua un libro. Poi ne inviò un altro che tornò con un sacchetto. Poi un terzo con tre rotoli di pergamena nuova e materiale per scrivere.
All'alba al Ma'mum  entrò e trovo al Kindi addormentato riverso sulle pergamene. 

-Mio Signore e mia Salvezza- prese dunque a dire- ho lavorato tutta una notte, e meno male che il mio carissimo compagno di studi mi ha messo a parte di tutta quella nuova scienza che è il disporre...
-Basta perder tempo! Gridò spazientito al Ma'mun. E li in quell'attimo gli occhi sereni che Il grande Harun al Rashid aveva regalato ai figli si tramutarono in fiamme.
-Voglio sapere che c'è scritto nel messaggio!
- Mio signore, io...mio Signore voi state per esser avvelenato. 
Nella sala si fece un grande vociare, le guardie stesse si guardarono impaurite e poi tutto sprofondò in un grande silenzio.
- Spiegati meglio e senza confusione allora, o alla Casa della Sapienza il tuo nome sarà per sempre cancellato! Disse il Califfo.
-Mio Signore,la lingua è quella degli antichi popoli al dilà del mare, ma non è raffinata come quella che ho sempre studiato. 
-Sciagurato, il Potentissimo Al Kahliq possa confondere i tuoi pensieri, che dici! Conosco il latino e non vi è traccia  di questo!
-Sire anche a me all'inizio pareva tale, anzi più simile a quell'idioma di  popoli oscuri che abitano oceani di ghiacci lontano tante vite di cammello da qui, ma il messaggio è semplicemente cifrato con un codice antico, inventato da uno degli antichi re, Giulio Cesare era il suo nome. Ogni lettera è sostituita da quella tre volte successiva nel loro sistema di segni e il messaggio originale è questo mio sire.
Al kindi prese una pergamena e scrisse così poche righe: 

AB DUO AD QUATOUR
IN DUO DIVIDE. 

SIT UNUM ET SEPTEM 
OPTA DUO ET QUATUOR AEQUALES.

Il Califfo rimase sorpreso ed il capo delle guardie del corpo si lasciò sfuggire un moto di meraviglia. Tuttavia il significato continuava a rimanere oscuro. 
-A questo punto mio signore non riuscivo a capire più nulla. Avevo decifrato il codice ma non sapevo cosa volesse significare. RIcordo che una volta la madre della sorella minore di mio padre, uscendo dalla piazza che poi porta alla seconda via del mercato,incontrando...
-Va avanti o possano tutti i Jiin trascinarti nel fuoco!!Berciò il califfo.
Ma certo sire scusate sire. La prima frase è la chiave per disporre le lettere, chi ha composto il messaggio non l'ha solo cifrato, ma ha pensato che la soluzione dovesse essere un enigma da disegnarsi e poi capirsi. Dopo averlo disegnato correttamente non rimane che risolverlo ma le due cose vanno insieme, capite sire?
Il Califfo sguainò la spada e andò verso  al Kindi che si inginocchiò in segno di protezione implorando di esser lasciato vivo per continuare la spiegazione.
-Spiegati per Allah! Gridò il califfo fuori di se.
-Sire il primo è un verso di Vitruvio, l'architetto romano, che dice come disporre i mattoni in un muro. Al kindi estrasse dal sacchetto nove dadi in legno grandi come una grossa noce. 
-Vitruvio dice di alzare i muri ponendo una prima fila di mattoni, e al disopra una seconda che inizi con un mattone tagliato a metà.
Al Kindi prese due dadi e li affiancò,sopra di essi in equilibrio ne mise tre e sopra ancora in equilibrio altri quattro. Il risultato era una sorta di forma triangolare con apice rivolto in basso costituito da due dadi, e base rivolta verso l'alto costituita a sua volta dai quattro dadi posti al disopra dei tre. 
 Il califfo ascoltava attento. 
-Il secondo verso sire è stato il più difficile perchè è la vera chiave dell'enigma. Dice in sostanza siano uguali l'uno e il sette e il due e il quattro. Ma uguali cosa? Uguali i figli di una chioccia? Uguali i nomi dei distretti della città? Oppure le lettere del messaggio che si voleva comunicare, e che è stato nascosto in questo modo ingegnoso? Ho pensato così:dovevamo dunque trovare un messaggio che contenesse due coppie di lettere uguali, la prima coppia al primo e settimo posto. La seconda al secondo e al quarto.

-Uguali le lettere in un messaggio,certo ma quali lettere? Anche provando con tutte le combinazioni è impossibile comprendere che si volesse dire. Ho passato l'intera notte su questo e solo alla fine ho capito. Le lettere erano le prime di ogni verso, la S e la O, che si ripetevano in posizione 1 e 7; 2 e 4.
- Provate a guardare la costruzione di dadi, non vi ricorda un qualche oggetto?
-Affatto!Non capisco! Disse disperato il califfo, confuso dall'immensa spiegazione.
-Sire se disponiamo ogni lettera che abbiamo al posto di ogni dado otteniamo questo:

               S  O  _  O

       _  _  S

       _  _


-Adesso Sire vi è più chiaro?
-Mi pare che le lettere siano messe dentro una tazza. Disse il Califfo aggrottando le sopracciglia.
-Esatto Maestà Eminentissima. E guardando questa forma le lettere mancanti possono essere ben immaginate. Una regina dell'antichità fu avvelenata dal marito per non doverle far subire un ignominosa umiliazione. Il suo nome era Sofonisba, e fu avvelenata con il veleno mescolato a una bevanda in una tazza.